Postato in Animalisti, Biodiversita', conservazione, divulgazione scientifica, mammiferi il 31 luglio, 2015
C’è
un messaggio nella storia dell’uccisione di Cecil il leone che chi si occupa di
conservazione e di comunicazione dovrebbe imparare. Di leoni uccisi più o meno
legalmente e in modo più o meno brutale ce ne sono centinaia ogni anno, i
numeri sono in calo, la specie è in pericolo. Ricercatori e conservazionisti
protestano, scrivono articoli scientifici, occasionalmente scrivono sui
giornali, a volte una persona famosa ne parla sui social ma niente succede, è
un messaggio urlato da un muto a dei sordi, che rimane del tutto inascoltato.
Poi
qualcuno tocca Cecil il leone, quello bello con la criniera nera e il
radiocollare figo dell’università di Oxford, e il demente che lo ha ucciso si ritrova i
picchettaggi sotto casa e i messaggi di morte su Facebook (i picchettaggi li condivido, ma sui messaggi
di morte non sarò mai d’accordo, li trovo
vergognosi). Qui
c’è una lezione di comunicazione che bisognerebbe capire, e magari imparare a
gestire, perché avere l’opinione pubblica dalla parte di una buona causa è importantissimo.
Ci sono delle specie, per lo più
grossi mammiferi, definite “specie ombrello” perché la loro protezione
protegge, come un ombrello, tutte le altre che ne condividono l’habitat.
All’interno
di queste specie alcuni individui diventano particolarmente importanti dal punto
di vista mediatico, perché diventano “iconici” per rappresentare non solo la
loro specie, ma anche i sentimenti umani che si proiettano in loro.
Ed
ecco che Cecil il leone diventa l’emblema della forza
“onesta” e pura degli animali, brutalmente annichilita dalla viltà
umana, come in una favola di Fedro. Se Cecil-Simba avesse squartato Bambi o
Pumbaa sarebbe stato un po’ un problema, ma per fortuna le telecamere erano
spente quando è successo.
L’orsa Daniza è
diventata la proiezione
dell’amore materno che difende i piccoli contro i pericoli dell’uomo
crudele (forse qui più Esopo che Fedro), ma la sua disavventura finita male ha
fatto scoprire a tutti che esiste un progetto di reintroduzione di orsi sulle
Alpi.
Marius il giraffino
ucciso nello zoo di Copenhagen, icona degli animali tenuti “ingiustamente” in
cattività negli zoo, è diventato un simbolo di infanzia brutalmente violata (sempre dall’uomo, il
cattivo di queste storie é sempre Lui).
… e
così via, di esempi ce ne sono decine.
quello che accomuna questi animali è di avere un nome, di essere grandi
mammiferi che tutti amano per effetto Bambi, perché sono gli animali che popolano le nostre favole di
bambini,
perchè sono
simboli di caratteristiche umane, perchè sono belli e pelosi e,
diciamocelo, facili
da antropomorfizzare. In qualche
modo diventano “pet” astratti, mascottes in cui si vedono rispecchiati dei valori importanti. Uccidere questi individui (e solo loro)
significa andare a colpire quei valori
etici importanti per la nostra società
(la forza onesta, l’amore materno,
l’innocenza etc.).
Lo aveva ben intuito Antoine de Saint-Exupéry nel suo “Piccolo Principe”:
“Gli
uomini” disse la volpe, “hanno dei fucili e cacciano. E’ molto
noioso! Allevano anche delle galline. E’ il loro solo interesse. Tu cerchi
delle galline?”
“No”, disse il piccolo principe. “Cerco degli amici. Che cosa vuol dire
“?”
“E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire
…”
“Creare dei legami?”
“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila
ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono
per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno
dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo”.
Chissenefrega se il dentista psicopatico che ha
ammazzato Cecil era già sotto processo in America per aver ammazzato un orso,
sempre con l’arco (quanto ci impiega un orso a morire per un colpo di
freccia?). Quello era un orso anonimo, non lo
conosciamo, che importa se gli americani hanno meno orsi che in Europa e li
ammazzano in modo doloroso e barbarico? A noi importa
di Cecil e di mamma Daniza.
Anche
l’orsa MJ2, ora ricercata per aver
attaccato un podista per proteggere i suoi cuccioli, rischia di fare la fine di
Daniza o, nella migliore delle ipotesi, di finire i suoi giorni in un recinto
al Casteller, e i piccoli rischiano di non passare l’inverno. Solo che, a differenza di
Daniza, questa orsa viene indicata solo
con una sigla, e
ce ne sentiamo un po’ più distaccati, sappiamo poco della sua storia, e
poi siamo tutti presi da Cecil adesso.
Forse, potrebbe essere una buona
idea dare un nome agli individui di specie in pericolo su cui si vuole
catalizzare l’opinione pubblica. Per MJ2 è stato proposto il nome Minnie. Ce la fa già sentire più
vicina, solo pensare che Minnie sta per fare la fine di Daniza.
Si potrebbe scegliere un globicefalo a caso di quelli che hanno la rotta estiva nei pressi delle
isole Faeroe e che vengono trucidati ogni anno,
uno solo, e chiamarlo che so, Charlie. E se qualcuno
lo tocca, l’anno prossimo… lo slogan Je
suis Charlie c’è già, non bisogna neanche crearne un altro, e magari
finalmente si riesce a fare una campagna di pubblica vergogna contro le Faeroe.
Non
perché i globicefali siano specie a rischio, ma perché non c’è motivo se non
una tradizione barbarica per continuare a sbuzzare cetacei ogni anno.
I quattro rinoceronti bianchi settentrionali rimasti al
mondo li si potrebbe chiamare John, Paul.
Ringo e George, e i
Beatles non si toccano, soprattutto ora che i
rinoceronti ci sono stati presentati personalmente. Non mi stupirebbe se il
dentista psicopatico o un amico suo cercassero di ammazzarne uno o più, magari
con le freccette, per l’unico motivo che stanno finendo e bisogna sbrigarsi ad
approfittare dei “saldi di stagione”. Bisognerebbe spargere la voce
che se qualcuno tocca Paul magari sir Paul, quello vero, gli mette una taglia
sulla sua, di testa. Suggerisco
di scegliere un lupo maremmano a caso e chiamarlo Francesco, e di dire che è amico del papa. Non
si toccano i pet. Neanche
quando sono selvatici. Mi sembra questa l’eredità di Cecil. Oramai quella della conservazione della megafauna è una guerra persa di
cui stiamo combattendo battaglie di retroguardia.
Sono certa che antropomorfizzare un leone o un
globicefalo sia un’arma psicologica non vietata dalla convenzione di Ginevra, e ben venga se serve a procrastinare di qualche anno
l’estinzione di un’altra specie di grande mammifero.
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