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Settembre 2015
la vita buona
meglio tardi che mai
di valerio pocar
Laudato si', mi' Signore, cum tucte le tue
creature.
Come a tutti è noto, il romano pontefice Francesco I ha promulgato, il 24 maggio di
quest'anno, l'enciclica Laudato si', in merito alla quale i commenti appunto laudativi si sono sprecati, specie
per ciò che riguarda la presa di posizione sulle questioni ecologiche in essa
contenute.
Una lettura meno superficiale e
giornalistica del testo, peraltro, induce a osservare che, proprio rispetto a tali questioni, nulla si dice che non sia ormai risaputo e
patrimonio d'idee condiviso da tutti quanti abbiano mai studiato i citati
argomenti o anche semplicemente vi abbiano
riflettuto col loro
semplice buon senso.
La novità consiste, dunque, nel
fatto che finalmente
la Chiesa cattolica,
per bocca del
suo più autorevole esponente, fa
proprie alcune idee
rispetto alle quali
aveva sempre evitato
di esprimersi.
Ancora una volta, insomma, si tratta di un prudente adeguamento a ciò che tutti dicono e
sanno e
nessuno più revoca
in dubbio. Meglio
tardi che mai,
si potrebbe dire,
ma è
una presa di posizione da valutare positivamente, proprio perché può
contribuire a legittimare scelte generalmente condivise
a parole, ma
troppo spesso contraddette
nei fatti per motivazioni politiche e soprattutto
economiche.
Chi ha già avuto occasione di
leggermi sa che è mio convincimento che gli animali non
umani siano portatori di diritti o quanto meno destinatari di doveri degli umani
nei loro confronti. Di conseguenza,
consapevole che spesso
la questione ecologica
viene sovrapposta e confusa -
intendiamoci, a torto - con quella animalista, trovandomi di
fronte a un documento che sin dal titolo s'ispira all'insegnamento di Francesco
d'Assisi - un
santo vegetariano e disposto
a dialogare anche
col lupo, fratello
di tutte le
creature che «sora nostra madre terra ... sustenta et
governa» producendo
«diversi fructi con coloriti flori et herba», elevato per questo motivo al ruolo di
patrono degli animali - mi sono precipitato a leggere quale sia il posto che il messaggio di
questo Francesco assegna agli animali. Sono
rimasto deluso.
Solamente
sul finire dell'enciclica (§ 221) leggiamo
parole che sarebbero importanti se non
restassero così vaghe e soprattutto isolate. «Quando leggiamo
nel Vangelo che Gesù parla degli uccelli e dice che "nemmeno uno di essi è
dimenticato davanti a Dio" (Lc
12, 6), saremo
capaci di maltrattarli e far loro del male?
Invito tutti i cristiani a esplicitare questa dimensione della
propria conversione, permettendo
che la forza
e la luce
della grazia ricevuta si
estendano anche alla
relazione con le
altre creature e
con il mondo
che li circonda e susciti quella
sublime fratellanza con tutte le creature che san Francesco d'Assisi visse in
maniera così luminosa». Non si esplicita, però, in che dovrebbe consistere questa
esplicitazione, che, se le parole del Vangelo fossero prese sul serio, dovrebbe
comprendere il rifiuto di
recar danno non
solo agli uccelli
dell'aria, ma a
tutti gli animali indistintamente, a cominciare dal
rifiuto di allevarli per consumarli come cibo e di usarli come oggetti
sperimentali. Ma il documento
non è conseguente
con questa bella affermazione di principio.
Infatti, sullo
specifico punto della
sperimentazione viene enunciata (§
130) una posizione di
tipo del tutto
tradizionale. « ...
benché l'essere umano
possa intervenire nel mondo
vegetale e animale
e servirsene quando
è necessario alla
sua vita, il
Catechismo insegna che le sperimentazioni sugli animali sono legittime
solo se "si mantengono in limiti ragionevoli e
contribuiscono a curare
e a salvare
vite umane", sicché sarebbe
"contrario
alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre
indiscriminatamente della loro vita"». E ci sarebbe mancato solo che si
legittimasse la crudeltà fine a sé stessa. Sull'uso degli
animali come cibo,
invece, troviamo una
presa di posizione implicitamente contraria
al rispetto verso
tucte le creature,
che si legge
tra le righe.
Al momento di
trattare (§§ 23/25)
delle cause
del dissesto ecologico
e delle loro
nefaste conseguenze, con riguardo specialmente all'accesso al cibo,
all'emissione di gas serra, allo spreco
delle risorse idriche
e ad altre
ancora, viene dimenticata
proprio una delle principali, vale
a dire appunto
il consumo di
alimenti prodotti dallo
sfruttamento degli animali.
Anche a
non voler porre
l'accento sui profili
etici della questione,
non
ci si rende dunque conto che la zoofagia è una delle principali cause del dissesto
ecologico (emissioni di
gas serra degli
allevamenti, riduzione della
biodiversità, eccesso di
consumi idrici,
deforestazione e via
elencando) e della
fame nel mondo,
per via dello
spreco di risorse alimentari. Sul punto,
peraltro, l'insegnamento della
Chiesa cattolica non
appare più arretrato di quello
proposto da altre fonti che dovrebbero avere la miglior considerazione del problema.
Penso, ad esempio,
alla cosiddetta Carta di Milano,
che rappresenta il documento progettuale frutto
dell'elaborazione culturale di Expo2015 in materia di cibo, con la
finalità di migliorare
la quantità e
la qualità dell'alimentazione umana. In
tale documento, infatti, si colgono solo
vaghi accenni al
benessere degli animali, che rileva
comunque solo al
fine di un
miglioramento della qualità
del prodotto animale, mentre manca
una reale consapevolezza della
gravità delle conseguenze
di tale tipo
di consumi nonché della
necessità di un mutamento radicale degli stili alimentari umani.
Le
ragioni politiche, economiche
e soprattutto commerciali
di siffatta scelta
sono semplicemente intuitive. Tuttavia, se
questa inconsapevolezza, che
non sfiora neppure
i profili etici della questione, già
appare deludente in un documento
"laico", la medesima inconsapevolezza e
la disattenzione verso i
profili etici risultano sconcertanti in un documento proveniente
da un'autorità religiosa, che dovremmo
supporre sommamente attenta
all'etica delle scelte.
Sconcerto, ma
non sorpresa. L'enciclica, infatti, si
sofferma a lungo
(§ 115 e seguenti)
sulla critica
all'«antropocentrismo deviato», che, more
solito, sarebbe
il frutto perverso del
relativismo.
Sicché un
retto antropocentrismo sarebbe
da accogliersi per legittimare la disattenzione morale nei
confronti degli animali non umani.
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