Siamo
in una nuova guerra mondiale, ma non è la Terza, come ha detto Papa Francesco,
bensì la Quarta, quella
per il dominio globale scatenata da Washington. Questo, almeno, è il
pensiero del filosofo Diego
Fusaro,
che per spiegare la politica statunitense in Libia, Iraq e Siria scomoda
Shakespeare: “C’è del metodo in
questa follia”…
Fusaro, ha ragione il Papa a dire che
siamo nella Terza guerra mondiale?
«È vero, siamo in una guerra mondiale, su
questo concordo con Bergoglio, solo che io, seguendo il mio maestro Costanzo Preve, credo che
siamo nella Quarta guerra mondiale».
Quale sarebbe stata, allora la Terza?
«La Terza è stata la
Guerra fredda. La Quarta
guerra è quella che gli Usa hanno dichiarato al mondo che resiste alla
globalizzazione,
cioè alle mire imperialistiche statunitensi. Come diceva quella
canzonetta “And the world will be as one”…».
Siria, Libia, Iraq: tre stati passati dal nazionalismo
laico alla cappa fondamentalista dopo interventi Usa. Ma gli Usa ci sono o ci
fanno?
«Citando il principe Amleto, direi che “c’è del metodo in questa follia”. Si tratta di distruggere i governi sovrani degli stati
che resistono, creando del disordine organizzato per poi intervenire in modo permanente
in quelle aree che, si dice, non sono in grado di governarsi da sole».
Obama pochi mesi fa voleva bombardare
Assad. Ora vuole bombardare i nemici di Assad. Sicuro che si tratti solo di un
piano e non anche di una certa impreparazione di fondo?
«La
situazione è in parte sfuggita di mano, non c’è dubbio, c’è una incomprensione
generale di alcune dinamiche, ma c’è anche la ferrea volontà di mantenere il proprio
potere imperialista».
Cosa rimane, oggi, delle “primavere
arabe”?
«Le primavere arabe,
come le rivoluzioni colorate, sono episodi interni alla Quarta guerra mondiale. Sicuramente vanno fatti dei distinguo,
in Egitto e Tunisia la rivolta non è stata la stessa che in Libia, per esempio.
C’è tuttavia un filo rosso che è il passaggio dal
panarabismo nazionalista all’occidentalismo capitalista».
A questo punto dobbiamo interrogarci sul significato dell’esportazione della democrazia. Cosa non ha funzionato? Era una bella
idea applicata male? Era il concetto stesso di democrazia pensato male?
«Già il concetto in sé di esportare la
democrazia implica una reificazione: la democrazia si “esporterebbe” come i telefonini o i
deodoranti. Ma la
democrazia non è una merce, è la fase dello sviluppo di un popolo che matura nella
sua autocoscienza, nella sua storia. In realtà l’esportazione della
democrazia era solo una maschera per coprire l’imperialismo nella sua triade ben spiegata da Preve: interventismo umanitario, bombardamento etico, embargo
terapeutico.
Del resto aveva ragione Schmitt: chi
parla in termini di diritti umani si sta già arrogando il diritto di stabilire
chi è umano e chi no…».
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