Chiesa
Bagnasco, pensione da
generale
di Riccardo
Bianchi
I cappellani militari
costano allo stato oltre 15 milioni di euro l'anno. E tra loro abbondano i vescovi baby pensionati con
emolumenti d'oro. Tra cui anche l'attuale presidente della Conferenza
episcopale italiana
(27 aprile 2012)
All'interno della cittadella militare della Cecchignola c'è un seminario. Vi nascono i futuri cappellani militari, preti che per l'esercito italiano sono anche
ufficiali. Il seminario è cattolico, ma a pagare la formazione degli attuali otto seminaristi ci pensa lo stato italiano. Perché la «Scuola allievi
cappellani militari» fa parte dell'ordinariato
militare, una speciale diocesi che però è
anche una struttura delle forze armate e i
cui soli uffici centrali romani pesano per 2 milioni di euro sul bilancio del
ministero della Difesa. Sembrano
tanti, ma pensioni e stipendi di tutti i sacerdoti e, soprattutto dei vescovi che
comandano, toccano la cifra di ben 15
milioni di euro all'anno.
E abbondano i casi di babypensionamenti.
Tra questi baby pensionati spunta il
presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Bagnasco, che dal 2003 al 2006 è stato anche arcivescovo ordinario
militare, cioè reggente della
diocesi, per legge equiparato ad un generale di corpo d'armata. Un ruolo del genere si aggira sui 190mila euro lordi
di stipendio all'anno, quello che riceve l'ordinario attuale, monsignor
Vincenzo Pelvi. Come
pensione, si parla di oltre 4mila euro
lordi al mese, ma Bagnasco prende di meno perché non è arrivato ai venti
anni di servizio. Detto questo, raggiungendo nel 2006 i sessantatre anni d'età ha avuto
diritto al vitalizio sostanzioso con soli tre anni di contributi, e come lui tre generali predecessori: i monsignori Gaetano
Bonicelli (sette anni di contributi), Giovanni Marra (otto anni) e Giuseppe Mani (otto
anni).
Il problema delle pensioni dei
cappellani è un vero dilemma: interrogato da Maurizio Turco dei Radicali, il ministro della difesa Di Paola ha risposta che
l'Inpdap non sa dire a quanto ammontino, ma ha stimato che la media degli
assegni per i 160 religiosi, di cui 16 alti graduati, si aggiri sui 43 mila euro lordi
annui. Sommandoli agli 8,6 milioni di euro che costano i 184 cappellani in
attività, vescovi compresi, si arriva a 15 milioni. Un bel costo per «l'assistenza spirituale delle
forze armate».
«Il governo parla di tagliare 30-40 mila posti tra militari e civili al
ministero della Difesa, ma i cappellani dovevano scendere a 116 e invece superano
ancora i 180». spiega Luca Comellini del partito per
la tutela dei diritti dei militari, che con Turco ha sollevato il caso delle
spese.
C'è un sacerdote alla Croce Rossa e ce ne sono al fronte: «Per altro quando dicono
messa la domenica ricevono l'indennità di lavoro festivo e se vanno in guerra
quella di missione».
L'unico che nella storia ha sciolto i cappellani è stato Mussolini il
giorno dopo la marcia su Roma dell'ottobre 1922. Temeva fossero infiltrati del Vaticano, ma negli anni '30 iniziò a riaprire le truppe alla
presenza dei preti. Poi nessuno ci ha rimesso mano. Anzi, nel 1997 il governo di
centrosinistra di Romano Prodi ha alzato i gradi e con loro lo stipendio dei
religiosi: il vicario generale, secondo della
gerarchia dell'ordinariato, passò da generale di brigata a generale di
divisione, gli ispettori da tenenti colonnello a generali di brigata. Furono creati
altri ruoli di rango elevato, così che se prima i sacerdoti erano tenenti, capitani o maggiori, adesso
possono essere anche colonnelli e tenenti colonnello.
Un
discorso a parte, anzi un articolo a parte, meriterebbe tutta la discussione
interna alla Chiesa sul valore dei cappellani. Nel
'65 un gruppo di loro scrisse di ritenere «un
insulto alla Patria e ai suoi Caduti la cosiddetta «obiezione di coscienza», che, «estranea al comandamento cristiano dell'amore, è
espressione di viltà». Ci pensò Don Lorenzo Milano a rispondere che «E' troppo facile dimostrare che Gesù era
contrario alla violenza e che per sé non accettò nemmeno la legittima difesa». Da anni, dai tempi di monsignor Tonino
Bello, Pax Christi chiede di
smilitarizzarli e di passare la cura delle anime dei soldati alle parrocchie in cui ha sede la caserma. Insomma, all'interno delle curie è un tema che fa
discutere. Ma un altro si presenterà allo
stato laico: stanno arrivando soldati di fede diversa, ma l'ordinariato è un ufficio puramente cattolico. Come farà a garantire l'«assistenza spirituale delle forze armate» che
non credono in Cristo o almeno non nel papa? Sarà un altro bel dilemma.
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