di Vanna
Brocca | 27 luglio
2012
Più informazioni su: aism,
antivivisezione, cavie umane, Dna,
vivisezione.
“Mi chiamo Susanna Penco, ho 49 anni, vivo a Genova e
da 16 anni sono affetta da sclerosi multipla. Sono biologa e lavoro come
ricercatrice all’Università di Genova. Da sempre sono obiettrice di
coscienza verso la sperimentazione animale per due motivi: perché non ho
alcuna fiducia scientifica in tale pratica, e perché provo un grande senso
di pietà nei confronti di tutti gli animali, umani e non umani”.
Comincia così la
testimonianza di Susy (che lei, come leggerete, non vuole sia definita
straordinaria, ma che a tutti gli effetti lo è), che ha fatto il giro del web
suscitando una valanga di commenti/assensi (l’originale completo si trova a pagina 6 della rivista Orizzonti).
Una testimonianza da leggere anche perché malgrado gli
sforzi, la passione, la chiarezza dell’obiettivo e la fattibilità di ciò che
propone – che si sperimenti sugli umani che, come lei, volontariamente si
offrono alla scienza oppure sui cadaveri – Susanna Penco non ha ancora ottenuto
una sola risposta ufficiale.
Dice Susy: Sappiamo tutto delle mummie
egizie. Sappiamo che cosa ha mangiato Otzi poco prima di esalare l’ultimo
respiro, tra risonanze e tac sanno tutto anche dell’ultima cellula rimastagli,
e allora perché non analizzare l’organismo di coloro che sono deceduti per o
con la malattia di cui soffro anch’io?
Ma ecco la testimonianza:
“La mia esperienza professionale inizia tanti anni fa,
quando decisi, ancor prima di laurearmi, di dedicarmi alle colture cellulari
come alternativa a una ricerca da me ritenuta cruenta ed inutile. Ebbi la
fortuna di incontrare le persone giuste e fu così che divenni brava a
coltivare cellule esclusivamente “in vitro” e poi, da anni,
esclusivamente umane. Con l’avvento di attrezzature avanguardistiche
e se la ricerca in vitro fosse finanziata come dovrebbe, si
potrebbero ottenere grandi risultati applicabili all’uomo. Ma qui non
voglio parlare delle ricerche “in vitro”, voglio parlare di quelle “in
vivo”. In vivo su chi? Ma sull’uomo, certamente, ovviamente,
naturalmente. E chi, sennò?!
Mi spiego, vorrei proporre ricerche che
potrebbero essere immediatamente disponibili ed applicabili al
vero “bersaglio” della ricerca: la nostra specie. Ecco perché
ho premesso di essere vittima di una precisa malattia. Io
sono assolutamente disponibile a fare da cavia: no, non sono una
visionaria fanatica pronta al sacrificio della vita per un ideale che, tra
l’altro, sarebbe ritenuto ridicolo e assurdo dai più. La mia malattia
è “mia”, io ne sono affetta, ma certamente c’è qualcosa in comune tra
me e tutti gli altri malati: qualcosa che dovrebbe essere indagato
tramite, naturalmente, accuratissime anamnesi, banche dati, analisi
statistiche ed epidemiologiche, ed altro.
Qualcosa si fa, ovviamente. Ma è poco, e sapete
perché? Perché la parte del leone, per i fondi stanziati o
“raggranellati”attraverso varie vie, anche molto nobili, dalla
beneficenza, alle donazioni in tv, ai premi, ecc, la fanno le
ricerche sui topi. Insomma, si riesce a far tornare quasi normali i topi,
fatti ammalare artificialmente (nessun animale al mondo, a
parte l’uomo, si ammala di sclerosi multipla!) con varie terapie,
che poi si rivelano, il più delle volte, o inutili per la nostra
specie, oppure ci scappa addirittura il morto, come del resto per
altri farmaci, altre malattie, ma stessi metodi di ricerca (animali).
Sappiamo che per ammalarsi di sclerosi multipla ci
vuole, consentitemi il paragone un po’ strano, una sorta di
“fedina penale sporca”: è il Dna. Dunque, verosimilmente, tutte
le persone che hanno la sclerosi multipla hanno una “predisposizione”, scritta
nei geni, che, quando malauguratamente si combina con altri fattori
ambientali ancora sconosciuti, dà la manifestazione della
malattia. Questa predisposizione è condizionata dal famoso Mhc
(Major Histocompatibility Complex), che è una specie di “codice
fiscale” naturale che ciascuno di noi ha, e che, come un codice fiscale
burocratico, è diverso da persona a persona. Ma qualcosa in comune c’è. O
non esisterebbero i trapianti, le somiglianze tra parenti, l’identità dei
gemelli “veri”, ecc. Ebbene, a tutt’oggi io, e coloro che mi curano, ignoriamo
il mio Mhc.
Perché, se è così importante? Perché identificare
l’Mhc comporta un esame del sangue costoso… Ma perbacco,
costerà sempre meno delle migliaia di ricerche su migliaia di topi
che conducono al quasi nulla: i topi si rimettono dalla malattia indotta
(sono state usate anche le scimmie, a dire il vero, senza risvolti utili!)
eppure i risultati, incoraggianti su altre specie, non sono trasferibili
all’homo sapiens sapiens.
Ecco che mi piacerebbe essere utile a me stessa e ai
posteri, futuri malati di sclerosi multipla: sarebbe opportuno
identificare il mio “codice fiscale biologico” (l’Mhc), propormi di
sottoporre a monitoraggio, continuo nel tempo, il mio stile di vita: ad
esempio, abitudini alimentari, attività fisica, farmaci assunti, e cento
altre cose, sottopormi con regolarità ad esami innocui (diagnostica per
immagini, dalle risonanze agli ecocolordoppler, a prelievi di sangue ed
eventualmente di liquor, ad esempio). Non solo non mi peserebbe
prestarmi a seguire certe regole, monitorare me stessa e “accudirmi”,
magari con un accurato “diario di bordo”- né peserebbe a molti
altri pazienti, lo so – ma mi sentirei utile a me stessa e agli altri.
Nessuna follia, dunque. Solo buona ed etica ricerca medica sui malati,
i veri protagonisti. Io degli studi sugli animali mica mi fido.
Esistono già ricerche cliniche su pazienti umani,
ma, a mio modesto avviso, ancora poco coordinate, poco
gestite, frammentarie, ritenute secondarie alla ricerca su animali
- che comporta, a dirla tutta, una grande produzione scientifica di
lavori su prestigiose riviste e… aiuta la carriera dei ricercatori. E poi,
ditemi, perché nessuno mi “usa”, se sono attenta, lucidamente
consenziente, diligente ed affidabile e per di più con competenze
scientifiche?
Delusa dal disinteresse nei confronti di Susy viva, ho
cercato di consolarmi pensando al futuro (spero lontano): quando di
me resterà la salma. Sì, avete inteso bene: ho deciso, molto tempo fa, di donare
il mio cadavere all’Aism (Associazione Italiana Sclerosi Multipla)
affinché il mio sistema nervoso centrale difettoso (ma anche altri organi)
sia indagato, studiato, osservato, analizzato, in rapporto anche con
quello dei miei parenti stretti che, persuasi della bontà del gesto,
hanno seguito il mio esempio, generoso verso i miei simili e
pietoso verso chi non c’entra nulla (gli animali, topi, cani, gatti o
scimmie che siano). Naturalmente il tutto, come un testamento, è
revocabile in qualsiasi momento, se si cambiasse idea. A me non capiterà!
È su animali vivi che si pratica la sperimentazione
animale. Si fanno nascere apposta. Fate caso al linguaggio
comune giornalistico e televisivo: gesti, avvenimenti, fatti e persone
è tutto “straordinario”. Un aggettivo inflazionato. Ebbene,
io desidero qualcosa di assolutamente ordinario! Nulla trovo di
eroico, strano, eccezionale o straordinario nel mio auspicio, nei miei
propositi. Sono alla ricerca di qualcosa di buono, che sia buono,
che produca risultati buoni. Per tutti. Senza vittime.
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