Leonardo Caffo - IL
MAIALE NON FA LA RIVOLUZIONE… - Edizioni Sonda 2013
Recensione di Massimo Terrile
E’ vero: il maiale non fa la
rivoluzione! Dobbiamo farla noi per lui.
Ma quale rivoluzione?
Leonardo Caffo[1]
propone in questa sua ultima opera una visione dell’antispecismo (detto in tal caso ‘debole’) depurata da ogni ingerenza ‘estranea’, mirante esclusivamente all’obbiettivo
fondamentale: liberare gli animali! A
prescindere da qualsiasi effetto ciò possa avere sugli umani, anche se ciò
dovesse (per ipotesi) essere dannoso per
la nostra specie.
Per rendere meglio l’idea, immaginiamo che un gruppo di individui ‘antispecisti’ appartenenti
ad una specie non umana (ad esempio i Gorilla) volessero definire un’etica di
comportamento verso altre specie, ritenendole ingiustamente discriminate dal
resto degli individui della propria specie. Peraltro, ove in base al pensiero
di un sottogruppo di tali individui, le azioni miranti al raggiungimento di
tale obiettivo dovessero essere coerenti con una logica di liberazione di tutti
gli individui di tale specie da un sistema sociale ritenuto ingiusto, nonché sincrone
e univoche con i temi e i tempi di tale ulteriore lotta, sarebbe chiaro che
tale sottogruppo vincolerebbe l’iniziativa generale a determinati interessi specie
– specifici. L’obiettivo
‘politico’ dovrebbe quindi essere solamente auspicabile, lasciando che le due
lotte possano svolgersi in parallelo, autonomamente, traendone eventualmente vantaggio
e supporto reciproco. Laddove peraltro
esso fosse ritenuto inscindibile dalla lotta di liberazione animale, si potrebbe
– secondo l’autore - peccare inevitabilmente
di ‘specismo’.
Abbiamo voluto proporre
come introduzione questo esempio per dare maggior enfasi alla proposta avanzata
dall’autore,
peraltro assai vicina a quella lanciata con il ‘Manifesto per un’etica
interspecifica’[2]
nel 2002. A nostro avviso, più che ‘debole’ una tale strategia di perseguimento dei fini
dell’antispecismo dovrebbe essere intesa come ‘forte’, in quanto – rifiutando ogni altro eventuale interesse
(per quanto giusto) estraneo alla liberazione dei non umani dal giogo umano – si manterrebbe ‘dura e pura’.
Caffo
presenta la propria proposta dopo aver svolto una lunga e brillante premessa
per introdurre progressivamente
l’argomento ed aver affrontato (e confutato) sia teorie filosofiche
antispeciste che potremmo ormai definire ‘classiche’, come quelle prettamente
‘morali’ di Singer e Regan
(secondo l’autore venate anch’esse di specismo
in quanto prendono in una certa misura l’umano
quale metro di paragone), sia
visioni esclusivamente alimentariste
(vegetarismo e veganesimo), sia infine teorie decisamente contrarie all’antispecismo.
(Metodo abbastanza raro nei filosofi quanto necessario ad una esaustiva analisi
di ogni problematica, ndr).
Tramite una panoramica critica dei ‘mondi possibili’ individuati da
numerosi moderni pensatori l’autore giunge quindi alla proposta di un
‘antispecismo debole’
confrontandola con quella di un ‘antispecismo politico’ sostenuta dal filosofo Marco Maurizi basata
sull’analisi della coscienza del ‘sociale’ della storia umana. Ragionando per assurdo, Caffo avanza un’ ipotesi sorprendente: e se liberare gli
animali non umani fosse contrario agli interessi degli animali umani?[3]
Un ‘terzo
antispecismo’ (come proposto precedentemente dall’autore ), in alternativa a
quello esclusivamente morale ed a quello politico nascerebbe quindi da tale ipotesi,
per individuare una strada pragmatica
che porti ad una soluzione etica ma realistica della ‘questione animale’.
Non è infatti tanto il mondo ‘come dovrebbe essere’
l’obiettivo che Caffo si pone, quanto il mondo come ‘potrebbe essere’. Strada peraltro tutta da scoprire.
Alla ‘debolezza’ della propria proposta antispecista l’autore dedica
peraltro il 3° capitolo,
chiarendo subito che l’aggettivo ‘debole’ è stato prescelto in quanto
identifica il “non
essere (l’antispecismo debole) una teoria completa, in ogni aspetto,
dell’etica animale”, bensì basata sullo slogan da lui stesso proposto: “gli animali prima di tutto”. Con un’
analisi serrata delle forme di ‘specismo’ esistenti Caffo sgombra subito il
campo dal dubbio di voler dar battaglia
ai mulini a vento, non
rinnegando un certo specismo naturale insito in ogni essere vivente, ritenendo pertanto
bersaglio di un ‘corretto’ antispecismo solo lo specismo innaturale (ossia ideologico) che
rappresenta “il meccanismo
di oppressione istituzionalizzato dalle società umane volto a massacrare a
miliardi gli animali non umani per diversi motivi – tipicamente
abbigliamento, ricerca, divertimento e alimentazione”. E per maggior chiarezza
precisa: “Non è infatti sconfiggere ogni forma di
uccisione animale l’obiettivo dell’antispecismo, ma combattere il sistema che
nobilita e legalizza lo specismo
innaturale”. Il ruolo dell’intenzionalità è infatti determinante per
l’autore ai fini di definire
come vada interpretata effettivamente ogni azione. Compito della filosofia morale è quindi
quello, conclude Caffo, di contrastare l’istituzionalizzazione dell’uccisione
volontaria degli animali (umani e non) e del considerar ‘cose’ gli individui
appartenenti alle altre specie.
Su tali basi, in un confronto finale
sotto forma di dialogo, l’autore precisa i punti fondamentali della sua
proposta, permettendo a Maurizi di esporre e chiarire i propri, in un aperto e
civile scambio di vedute. Punto fondamentale del dibattito parrebbe una
semplice quanto ardua domanda: se lo specismo sia connaturato
all’uomo, o nasca per effetto di attività sociali (come ad esempio lo sviluppo dell’agricoltura, dal Neolitico
in poi). Nel primo caso, tale ‘difetto’ sarebbe infatti ben difficile da
estirpare, mentre nel secondo potrebbe essere combattuto e vinto (convinzione questa che condividiamo fin
dall’inizio della nostra attività, ndr). Come e con quali mezzi è - in ultima sintesi - quanto proposto dall’autore, col quale non possiamo non concordare che la
liberazione delle altre specie dal giogo umano
non può essere troppo vincolata alla
liberazione dell’umano dall’umano, e viceversa (benché l’insieme sia altamente
auspicabile e coerente). Così come, analogamente, nel perseguire l’antispecismo
non ci poniamo il problema di eliminare le ingiustizie esistenti nell’ambito
delle altre specie (e ve ne sono di innaturali, sebbene le si voglia quasi
sempre interpretare come ‘naturali’) per estendere a tutti gli esseri senzienti
la ‘pax antispecista’.
Ci permettiamo di concludere con l’opinione che
i due obiettivi (liberazione animale e liberazione della specie umana da un proprio
attuale modello sociale) non possono tuttavia
essere idealmente disgiunti, così come l’uno non può essere realmente sentito a fondo se
non è parimenti sentito l’altro. Né ciascuno di essi, nel tragitto verso il
suo compimento, non potrà non trascinare con sé l’altro, per quanti sforzi si
possano fare per impedirlo.
In conclusione,
l’opera di Leonardo Caffo individua una via intermedia (che ricorda la saggia buddista
‘via mediana’), a metà strada tra un’etica individualista
orientata al riconoscimento del ‘valore inerente’ di ogni soggetto-di-una-vita
(v. Tom Regan) e un’etica sociale globale (v. M.
Maurizi) inclusiva della liberazione degli umani da sistemi sociali ingiusti
e non funzionali alla pacifica convivenza e sopravvivenza della specie umana.
In effetti, la
‘terza via’ è quanto anche il suddetto ‘Manifesto per un’etica interspecifica’
propone quando, nel riconoscere a tutti gli esseri senzienti uguali diritti
alla vita, al benessere, e alla non discriminazione, aggiunge:
‘ nell’ambito delle
esigenze della propria specie’. Chiarimento generico, ma efficace, per indicare che
ogni specie ha necessità diverse, il cui perseguimento
– anche competitivo – non può andare molto oltre le reali necessità
specie-specifiche, rappresentando altrimenti
una prevaricazione degli altrui diritti.
M.T.
[1]
Nato a Catania nel 1988. Filosofo e attivista
antispecista,
lavora presso l’Università di Torino, dove è membro del LabOnt: laboratorio di
ontologia. E’ Associate Fellow
dell’Oxford Centre for Animal Ethics e collabora
a diverse riviste. E’ direttore di ‘Animal
Studies’, rivista italiana di antispecismo.
[2]
Cfr. Movimento Antispecista: Manifesto (www.antispec.org).
Documento sottoscritto da oltre 40 associazioni, Tom
Regan, Marina Berati, Stefano Cagno, Valerio Pocar, Bruno Fedi, Annamaria
Manzoni, Susanna Penco, e molti altri.
[3]
Cfr.: Movimento Antispecista: Strategie per la lotta
antispecista, in Notiziario del M.A. (www.antispec.org > Pubblicazioni >
Notiziario). Il concetto della ‘non convenienza’ dell’antispecismo per la specie umana è
preso in considerazione in tale documento quale principale ostacolo alla
diffusione dello stesso nella società attuale.
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