Fidel Castro. Chi sono io?
Pubblicato il 26 nov 2016
di Maria R. Calderoni
Era impressionante. Un tipo che
impressionava. Il famoso giornalista del “New York Times”, Herbert Lionel Matthews,
che fu il primo in
assoluto a intervistarlo sulla Sierra Maestra nel
febbraio 1957, un
anno o poco più dopo il fatale Sbarco, nel primo dei suoi tre articoli, descrive Fidel
Castro, .
Colpito che vedeva nei suoi occhi castani, osservò subito la sua e ,
sentendosi .
Col procedere dell’intervista, raccontò in
quell’articolo che fece il giro del mondo, il misterioso guerrigliero . Gli apparve, scrisse, il
dell’opposizione a Batista.
Non fu l’unico a restare “fulminato” dall’uomo Castro.
Un altro fu Garcia Marquez. . Quella voce .
Racconta sempre Garcia Marquez. parlò senza sosta alla televisione per sette ore .
Deve essere un record mondiale. Ero arrivato il giorno prima con un gruppo di
giornalisti da Caracas, e cominciammo ad ascoltarlo nella stanza dell’albergo.
Continuammo nell’ascensore, nel taxi che ci portò nella zona commerciale, sulle
terrazze fiorite dei caffé…La sera, tutti avevamo svolto i nostri programmi per
la giornata senza perdere una sola parola
>.
Ma
non è solo il leader che sa fare della parola uno strumento . Dell’uomo Castro,
Marquez, che l’ha conosciuto bene, dice molto altro, dal suo punto di
osservazione previlegiato intellettuale e poetico. Rimandandoci tocchi intensi,
comuni e straordinari insieme. La
libreria di Castro, racconta, nel suo ufficio di presidente del Consiglio di
Stato, è . Il lider maximo seguiva una dieta ferrea, per lui <un sacrificio enorme, dato che il suo appetito è fra i
più ingenti>; da gran fumatore che era – mezza scatola
di sigari al giorno – <è passato, da un giorno all’altro, all’astinenza
assoluta, solo per avere autorità morale nella lotta
contro il tabagismo, in un paese dove Cristoforo Colombo scoprì il
tabacco e che
trae da esso buona parte dei suoi proventi>. Il lider maximo cui le feste private non
si addicono, <dato che è uno dei pochi cubani che non cantano e non
ballano>. Quanto alle sue . Lettore
onnivoro e instancabile, ; e mentre ai primi tempi il suo arrivo alle
manifestazioni pubbliche era sempre <imprevedibile quanto la pioggia, ora spacca il minuto
e dopo tante giornate di pedagogia oratoria, ora la durata del suo
discorso dipende dalla disposizione del suo uditorio>.
Chi
è Castro. <Castro è
l’antidogmatico per eccellenza; la sua fertile immaginazione vive sull’orlo degli
abissi dell’eresia. Cita di rado frasi altrui, sia nelle
conversazioni che sulla tribuna, salvo quelle di José Martì, che è il suo
autore preferito. Conosce a fondo i ventotto tomi della sua opera, e ha avuto
l’intelligenza di mescolarne le idee al torrente sanguigno di una rivoluzione
marxista>. Chi è
Castro. può
essere riassunta .
Questo
il Castro “profondo”, visto da occhi perspicaci. Il Castro che Garcia
Marquez ha descritto nel libro di Gianni Minà (“Il racconto di Fidel”, Mondadori), un Castro “sconosciuto” ai più, ma che
a noi sembra un ritratto esemplare, ancorché a tinta unica (non ci
scandalizziamo). Un ritratto “come si deve”, capace di fare
giustizia della montagna
colossale di odio, calunnie, pregiudizi, infamie che su di lui si è rovesciata in
cinquant’anni. – conclude
Garcia Marquez – è il Fidel Castro che credo di conoscere, dopo innumerevoli ore di conversazione,
solo raramente visitata dai fantasmi della politica. Un
uomo di costumi austeri e di illusioni insaziabili, con un’educazione formale
all’antica, di parole pesate e di modi delicati, e incapace di concepire un’idea che non sia straordinaria, credo che sia uno dei grandi idealisti del
nostro tempo>.
Sì, ci sembra un ottimo prologo per cominciare una biografia, sia pure
racchiusa nei limiti assolutamente angusti di un articolo, in morte di Castro. Un prologo emozionante, degno della sua
“storia”. Fidel
nasce il 13 agosto 1926 a Biràn, allora provincia d’Oriente; nasce bene. La sua infanzia e la sua
adolescenza la racconta lui stesso nel libro di Claudia Furiati “La
storia mi assolverà. Vita di Fidel Castro” (Il Saggiatore), una biografia non “autorizzata” ma “consentita” dal Comandante in persona. Nasce bene, . Il padre, don Angel, un fazendero che si
era fatto tutto da solo, , e girava a cavallo per le sue proprietà,
indossando impeccabili abiti di lino bianco. Il
ragazzo Fidel compie i suoi studi dai gesuiti in un
collegio per rampolli ricchi. Ma già allora non è tagliato per feste e
riti mondani, tanto
che i suoi
compagni lo chiamavano “guairo”, contadino di pelle bianca. Si
laurea in legge piuttosto con comodo e sempre usufruendo dell’assegno di papà; a venticinque anni sposa Mirta, una bella
ragazza dei quartieri alti, famiglia di diplomatici, con un
fratello che sarà anche ministro in un governo Batista. Ma
lui non sarà mai un figlio di famiglia.
La
sua vicenda-contro comincia prestissimo, tra la disperazione dei genitori, le
incomprensioni e le ripulse della moglie, dalla
quale finirà per divorziare subito dopo la nascita del figlio Fidelito. Leader
degli universitari ribelli all’Avana, prigioniero politico nelle carceri di
Batista, cospiratore nell’esilio messicano, capo
guerrigliero nella Sierra Maestra, statista
contestatore: le
molte vite leggendarie di Fidel. Giovanissimo, entra
nel Partito del Popolo Cubano (conosciuto anche come Partito
Ortodosso), e, poco più che ventenne, si
offre come volontario per
una spedizione contro la dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana, ma la spedizione va a vuoto; l’anno
dopo, in Colombia dove si trova nella sua veste di leader della Lega
universitaria, partecipa
alla rivolta popolare di Bogotà. Quando a Cuba, nel
’52 il colpo di stato porta al potere Fulgencio Batista, Castro
è lì in prima fila: dedito a costruire le forze per una insurrezione armata che
deve abbattere il dittatore corrotto, fantoccio Usa. Arrivano i giorni cruenti e tragici
dell’assalto al Moncada, la caserma di Santiago di Cuba, quel 26 luglio 1953. Il tentativo
fallisce nel sangue, sessanta compagni vi restano uccisi, Castro, il fratello
Raul e altri trenta sono arrestati e condannati a 15 anni di carcere. In
prigione riscrive l’arringa che aveva pronunciato in propria difesa al processo;
la
trasforma in quel pamphlet che ha per titolo “La storia mi assolverà” e che, distribuito in decine di migliaia di copie,
diventa il programma del Movimento 26 Luglio. Il
programma della Revolucion.
Non sconterà i 15 anni, dopo ventidue mesi lo scarcerano, lui e i suoi compagni, grazie a una grande
campagna pubblica a favore dell’amnistia. E da
esule politico, esattamente il 7 luglio 1955, col suo gruppo parte per il
Messico. Ma
non è in vacanza, nemmeno un giorno. Immediatamente e febbrilmente, rincomincia: a preparare una spedizione per
l’insurrezione armata a Cuba. Non
sono passati nemmeno cinque mesi: il 2 dicembre 1956, a bordo dello
sgangherato yacht che di nome fa Granma (la Nonna), riesce
nella missione da tutti giudicata impossibile: a
sbarcare, lui e una ottantina di ragazzi come lui, sulla costa cubana, fortunosamente
sfuggendo alle navi di Batista. Con lui ci sono i nomi che diventeranno
mitici: Camilo Cienfuegos, Che Guevara, Juan Almeida, Jesus Montané (e anche
l’italiano Gino Doné, l’unico europeo della spedizione). Comincia la nuova “storia” di Castro. La storia della
“incredibile” Rivoluzione cubana. La
storia del guerrigliero diventato comunista, del
Comandante in capo destinato a diventare “un mito vivente, l’ultimo del
millennio”. , rispose, rifiutando la proposta del Consiglio di
Stato che, nel 1996, voleva decorarlo come eroe cubano. Compiva
settant’anni, allora, e l’uomo che era uscito indenne da 637
attentati (tanti ne ha contati il controspionaggio
cubano) e che
da mezzo secolo era all’attenzione del mondo, ormai – scriveva Claudia Furiati – di sentirsi l’audace detentore della verità: conosce la compostezza di
coloro che hanno visto grandi aspettative sgretolarsi miseramente>. Ha settant’anni, ma non è stanco né domo,
ha solo imparato e, dice, rincomincerebbe
tutto da capo, sperando . E di morire .
Anche dal libro della Furiati esce
un grande Fidel. Inflessibile, geniale, lavoratore instancabile,
divoratore di libri, seduttore nato (incanta
folle e donne in egual misura), oratore
straordinario (), una memoria formidabile e una dedizione alla causa da alcuni definita una
vera ossessione. Nel suo intreccio di grandezza e
fallimenti, di genialità e di errori, Castro – al di là di ogni giudizio
- è per
se stesso un’epopea. L’incarnazione
del duello più spettacolare e inimmaginabile del millennio: quello di uno dei paesi più piccoli e poveri del
mondo contro gli Usa, la
nazione padrona del Pianeta, la più grande potenza militare del Globo. La quale non riesce ad avere ragione della rivoluzione di
Castro, né con i cinquant’anni di criminale embargo, né col terrorismo promosso e fortemente
finanziato dalla Cia, né coi tentativi di
invasione (Baia dei Porci, anno
1961).
Castro e il castrismo. Castro e non
solo Cuba. Parallelamente alla
storia dell’Isla ribelle, c’è da ascrivere al Comandante in Capo, con l’onore e la memoria che merita, l’altrettanto
emozionante lotta –
infinitamente generosa, visionaria ancorché soccombente – intrapresa per la liberazione del continente africano (specialmente di Angola e Algeria). E la meteora dei
falliti progetti per esportare la rivoluzione nella Repubblica Dominicana, in
Laos, Venezuela, Congo, Tanzania. E
in Bolivia, la tragica impresa del Che.
Doveva
venire la crisi dei missili e il pericoloso gioco delle due superpotenze, Usa e
Urss, di cui Castro
resta vittima. E niente eguaglia la collera e l’angoscia di quel momento – da lui con fantasioso eufemismo chiamato il “periodo
speciale” – quando il crollo dell’Urss e dell’intero
sistema dell’Est lasciò Cuba nell’abbandono più totale. Quel momento disperato, quando la domanda di Castro è una
sola: “Come
sfamare il nostro popolo?”
Ce l’ha fatta; terribilmente,
ma ce l’ha fatta, se
non la “libreta”, il “periodo speciale”, dicono oggi a Cuba, è alle spalle. Gli sciacalli di Miami
che brindano, ballano e fanno festa, anche adesso che è morto non hanno molto
di che gioire. Non sarà facile “seppellire” Castro.
Seppellire le sue parole
deflagranti e perfette, quelle pronunciate nel suo ultimo discorso alla platea
dell’Onu.
“Perchè un popolo deve camminare scalzo e un
altro viaggiare in lussuose automobili? Parlo in nome di quei bambini che non
hanno nemmeno un tozzo di pane. In nome dei malati che non hanno medicinali.
Parlo in nome di coloro ai quali è stato negato il diritto alla vita e alla
dignità. Qual è il loro destino? Morire di fame? Essere eternamente poveri? Ma allora
a che cosa serve la civiltà?”.
Bella
domanda, compagno Castro.
http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=26520
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