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Rousseau, trecento anni ma non li dimostra
di Maria Cristina Marcucci | Pubblicato il 28 Giugno 2012 15:10
Nell’epoca delle interpretazioni, ai
fatti si sono sostituite le parole, e, soprattutto, l’interpretazione delle parole
stesse. Si sa quanto le
parole possano essere pericolose, portare a pensieri politicamente scorretti,
occorre quindi assai spesso farle dimenticare, celarle,
sminuirle, seppellirle sotto macerie di parole altre, oppure, quando questo risulta poco possibile - o
poco opportuno - affrettarsi ad interpretarle. Generalmente le
interpretazioni appaiono assai più sofisticate e fumose del testo originale,
tese come sono a garantirsi autorevolezza attraverso dotte citazioni e l’uso di
termini desueti, per i quali il lettore/ascoltatore deve forzare, spesso
inutilmente, la memoria, o rimanere in ammirata incertezza fidando
nell’affidabilità - più spesso nella notorietà - di colui che interpreta.
Se un lettore interessato, colto ma che poco o nulla ricorda dell’opera di Jean-Jacques
Rousseau dai più o
meno lontani studi adolescenziali volesse informarsi riguardo all’opera del filosofo
ginevrino, si troverebbe a leggere, con
tutta probabilità, che il suo pensiero viene considerato una delle fonti dei totalitarismi
contemporanei, comunista e nazista in primis.
Questa interpretazione viene da lontano: da Condorcet attraverso Isaiah Berlin giunge fino ai
nostri giorni. Gli scritti di Rousseau, ci viene spiegato, hanno ai suoi
tempi eccitato le masse borghesi e popolari e portato alle "nefaste"
conseguenze della Rivoluzione Francese. E pure, attraverso il pensiero di Marx,
alla Rivoluzione d’Ottobre, si spinge ad
affermare qualcuno. Hanno messo in crisi
i valori "moderati" della religione e della tradizione e sostituito una
nuova concezione dell’esistenza a quella cristiana.
È pur vero che hanno ispirato la Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo,
ma, fanno intendere molti dei nostri interpreti, non è il caso di esagerare: in fondo, l’alfiere del nazionalismo liberale
Alexis de Tocqueville, non considerava
massimamente pericolosa l’idea che "…ogni individuo e per estensione ogni
popolo, ha il diritto di guidare le proprie azioni…"?
E cosa c’è
al giorno d’oggi di più indiscusso e politicamente
corretto della parola "liberale"- con quel suo assonante richiamo alla felicità, alla
libertà - in (quasi) tutte le sue ormai infinite declinazioni ed
accezioni, e di Tocqueville in particolare?
Inoltre, si affrettano
a farci sapere i siti online di ispirazione religiosa, Rousseau era un tipo
strano, un disadattato dalla vita privata disordinata e dai molti figli
illegittimi tutti abbandonati ai Trovatelli, nonostante una delle sue
opere più famose fosse proprio quell’"Emilio" in cui
vagheggiava l’educazione del fanciullo come sviluppo spontaneo e conquista
della libertà della persona. Per non parlare del suo massimo peccato, quel suo giusnaturalismo tanto
estremo da sfociare in
"democrazia totalitaria",
nell’idea nefasta ed illiberale che il potere debba ad ogni costo rimanere
nelle mani del popolo tutto. Una vera e propria religione di Stato, ad opporsi
a quella Unica e Vera, con quelle festività civili ormai tanto inutili,
anzi, deleterie, perché si deve produrre, produrre e produrre.
Questa è, grosso modo, l’interpretazione del pensiero
di Rousseau che oggi va per la maggiore, quella che il lettore
troverà più facilmente e frequentemente ove volesse, in questo trecentesimo
anniversario della nascita (28 giugno 1712), informarsi riguardo la vita ed il lavoro del filosofo ginevrino.
Ma ci sarebbe un’altra strada.
Rousseau è uno scrittore
splendido. Il suo romanzo Giulia o la nuova Eloisa, fu un best seller
del tempo e le godevolissime Confessioni un ritratto intimo
del loro Autore ed un impietoso affresco del la società dell’Età dei Lumi e di
tutte le sue componenti sociali alle soglie della Rivoluzione, tanto
vivo da fare invidia al genio di uno Sterne o uno Smollett. Non temiamo quindi di avvicinarci direttamente alla sua opera
ed andiamo a cercarla in biblioteca o in libreria. La lettura diretta dei suoi
capolavori, il Discorso sulle origini ed i fondamenti della
disuguaglianza tra gli uomini (1754), e del Contratto Sociale
(1772), ci renderà conto
della strumentalità di ogni interpretazione.
All’origine di tutta l’infelicità
dei singoli e dei popoli, congettura
Rousseau, sta la
disuguaglianza tra gli uomini. Non tanto quella stabilita dalla natura,
che pure esiste, ma quella procurata
dalla società. Il formarsi della società
civile ha imprigionato l’individuo - in origine libero e felice perché
di nulla abbisognava che non potesse facilmente procurarsi e di questo si
accontentava - in una rete di lacci e laccioli che, a cominciare da
quell’appropriazione indebita di bene comune che è la proprietà privata, lo hanno
precipitato in uno stato innaturale di dominio dell’uomo sull’uomo.
Il problema della libertà
dell’individuo è quindi posto dal Ginevrino in rapporto all’appartenenza di
questo alla società civile e perciò in rapporto all’autorità. Per cercare di ripristinare la libertà e l’uguaglianza tra
gli uomini e correggere per quanto possibile
sia le disuguaglianze naturali sia quelle sorte
all’interno della consesso sociale ad opera
della corruzione, delle ingiustizie,
del dominio dell’uomo sull’uomo, è necessario che gli individui si uniscano
volontariamente e liberamente in una forma di
associazione che difenda e protegga la persona, la libertà ed i beni di ciascun
associato. Un corpo morale composto da tanti membri quanti sono i voti
dell’assemblea. Lo stato
risulta così formato dalla volontà di tutti gli individui che lo compongono e non può avere interessi contrari
ai loro. Dove
la natura o la civiltà siano state ingiuste, lo stato sociale di Rousseau
interviene a correggere, perché tutti possano godere delle medesime possibilità
e si attui una autentica uguaglianza politica. Ciascuno, unendosi a tutti, non
ubbidisce che a sé stesso e resta libero. Alla
volontà generale spetta la sovranità,
che, a differenza di quanto teorizzato dal giusnaturalismo di Hobbes,
Grotius e Pufendorf, non può in alcun caso essere
alienata a favore di un individuo (il Sovrano) o di un gruppo (il Governo),
perché
entrambi hanno la tendenza a degenerare, abusando del proprio potere. Il
rifiuto sia del sistema assolutistico, sia di quello rappresentativo, seppure
liberamente scelti dal popolo tutto, è costante: la sovranità spetta esclusivamente alla volontà generale e non può in
alcun caso essere alienata. L’identità tra Stato e popolo appare completa: "… un atto di sovranità non
è una convenzione tra superiore e inferiore, ma una convenzione tra il corpo e ciascuno dei suoi membri;
convenzione legittima,
perché ha per base il contratto sociale; giusta, perché è comune a tutti".
Gli oppositori dell’Illuminismo
e dell’ordine sociale e culturale uscito dalle idee dell’Età dei Lumi si
misero immediatamente in moto, con virulenza. Con estrema virulenza
agiscono anche in questi nostri anni, in cui il potere, al popolo,
sta sfuggendo sempre più di mano. Sebbene la comunità sia in questi nostri
tempi assai più consapevole, colta ed educata di quanto ai tempi di Rousseau si
potesse anche solo sperare, la sua partecipazione diretta alla gestione dello
stato viene
ogni giorno depotenziata. L’estensione e la popolosità degli stati
moderni ci hanno prescritto una democrazia rappresentativa che come sappiamo Rousseau non amava
e la cui degenerazione pare dargli ragione: i
candidati alle elezioni vengono prescelti in altro luogo e viene creata loro
ad arte una immagine fittizia, fondamentale per convincerci a votarli
"liberamente". Nei momenti più sensibili della nostra storia recente
vengono nominati governi che mantengono solo nominalmente legami con il
cosiddetto "popolo sovrano" e che nei fatti hanno prerogative sia
legislative sia esecutive. Eppure, "…
non è bene che colui che fa le leggi dia loro esecuzione né che il popolo
distragga la sua attenzione dalle considerazioni generali per dedicarla ad
oggetti particolari …" perché "nulla è più pericoloso
dell’influenza degli interessi privati sugli affari pubblici…"
recita il Contratto sociale.
Obnubilati dalla propaganda del politicamente
corretto, distratti dai problemi della finanza globale, in nome di una
carità che nasconde ben diversi e prosaici fini e di una parola “libertà”
mai così ossessivamente evocata, stiamo abituandoci a convivere, sui nostri mari,
sulle nostre strade, nei nostri luoghi di lavoro, persino con quella che Rousseau considerava la massima aberrazione
della società civile: il dominio
dell’uomo sull’uomo, qualcosa che assomiglia troppo al traffico degli esseri umani, alla schiavitù.
Se "per libera scelta", tutti si affannano a convincerci, perché un popolo non potrebbe
consegnarsi ad una teocrazia, ad un governo "illuminato",
"moderato", che si occuperà del bene di coloro che in fondo neppure
sanno quale sia in realtà il proprio bene?
Se lo scelgo
liberamente
(liberamente?), perché non consegnarmi a chi in
cambio della libertà potrebbe garantirmi in qual che modo una vita più agiata?
Perché
liberamente
(liberamente?) non potrei vendere una parte del mio
corpo, la mia stessa vita … vendere, vendere, comprare, "liberamente".
Certo, a confronto con
tutte queste fantomatiche "libertà", Rousseau ci appare assai
illiberale. No, il popolo non può, l’individuo non può,
ad ogni costo, al di là di ogni contraria apparenza, alienare da sé la sovranità generale. La Monarchia
diviene assai spesso assoluta, il Governo
“si restringe quando passa dalla maggioranza alla minoranza” e prima o poi
rompe il patto sociale.
I problemi che Rousseau ci pone sono enormi, e più che mai attuali. Le
contraddizioni insite nel suo pensiero, analizzate con il senno di poi ed immersi come siamo in uno spirito
del tempo che ci guida verso lidi assai differenti, ci
paiono a volte macroscopiche. Ma non
guardiamo il dito al posto della luna: a queste idee dobbiamo, tra le molte
cose, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, l’abolizione della schiavitù, il suffragio
universale, lo stato sociale e quel
poco di uguaglianza che ancora ci rimane.
Dobbiamo fare attenzione, da secoli c’è
chi lavora per renderci queste conquiste irrilevanti, in nome della "libertà". Per
questo oggi facciamoci un regalo e lasciamo perdere le interpretazioni,
compresa questa mia: leggiamo
il Discorso sull’origine ed i fondamenti dell’ineguaglianza tra gli uomini,
leggiamo il Contratto sociale, e lasciamo parlare Jean-Jacques Rousseau.
Nell'immagine: il frontespizio del Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini. Credit: Wikipedia
Maria Cristina Marcucci è pedagogista e insegnante e cura la rubrica “Rileggiamoli”
su Sapere. Ecco
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