L’attacco alla repubblica dell'Ecuador. Ecco il perché di Londra.
di Sergio Di Cori Modigliani
Oggi parliamo di geo-politica e di libera informazione in rete.
Tutto ciò che sta accadendo oggi, tecnicamente (nel senso di
“politicamente”) è iniziato il 12
dicembre del 2008. Secondo altri, invece, sarebbe iniziato nel settembre di
quell’anno. Ma ci volevano almeno quattro anni prima
che l’onda d’urto arrivasse in Europa e in Usa.
Forse è meglio cominciare
dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio cominciare dalla
fine.
Con
qualche specifica domanda, che - è molto probabile - pochi in Europa si sono
posti.
Mi riferisco qui alla questione di
Perché il caso esplode,
oggi?
Perché,
Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del
Sudamerica che conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero
britannico perde la testa e si fa prendere a schiaffi davanti al mondo intero
da un certo signor Patino, ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e proprio
Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta
alla super elite planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque anni
fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo, mentre oggi li costringe
ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al mondo intero?
Perché l’Ecuador? Perché, adesso?
Tutto era più che prevedibile, nonché scontato.
Intendiamoci:
era scontato in
tutto il continente americano, in Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi
scandinavi.
In Europa e a
Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni fa. Perché
l’Europa - e soprattutto l’Italia - è al 100% eurocentrica, vive sotto un
costante bombardamento mediatico semi-dittatoriale, non ha la minima idea di ciò che accade nel resto del mondo, ma
(quel che più conta) pensa ancora come
nel 1812, ovvero: “se crolla
l’Europa crolla il mondo intero; se crolla l’euro e l’Europa si disintegra
scompare la civiltà nel mondo” e ragiona ancora in termini coloniali.
Ma il mondo
non funziona più così. In Italia, ad
esempio, nessuno è informato sulla zuffa (che sta già diventando rissa) tra il
Brasile e l’Onu,
malamente gestita da Christine Lagarde, la
persona che presiede il Fondo Monetario Internazionale, e che ruota
intorno all’applicazione base di un concetto formale, banale, quasi
sciocco, ma che potrebbe avere ripercussioni psico-simboliche immense: l’Italia è stata
ufficialmente retrocessa.
Non
è più l’ottava potenza al mondo, bensì la nona. E’ stata superata dal
Brasile.
Quindi al prossimo G8
l’Italia non verrà invitata, ma ci andrà il Brasile. Da cui la scelta di abolire il G8
trasformandolo in G10 standard. Si
stanno scannando.
La prima notizia Vera (per chi vuole ricavare informazioni reali dal mondo reale) è questa: “L’Europa, con l’Inghilterra e
Germania in testa, non possono (non vogliono) accettare il trionfo keynesiano
del Sudamerica e la loro irruzione nel teatro della Storia come soggetti
politici autonomi. Per loro vale il principio per cui “che se ne
stiano a casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li facciamo anche
sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da quelle parti, uno
per uno faranno la fine di Gheddafi”. Il messaggio in sintesi è questo.
Dal Sudamerica negli
ultimi quaranta giorni sono arrivati tre potentissimi messaggi in risposta: niente è stato pubblicizzato in Europa. Tanto meno l’ultimo
(il più importante) in data 3 agosto, se
non altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla sede di New York del
Fondo Monetario Internazionale.
Nessuno lo ha trasmesso in Europa, ad esclusione del
Regno di Danimarca.
E così, preso atto che
esiste una compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se non se ne parla la
televisione, non c’è in rete e non si trovano
notizie su wikipedia, allora vuol dire che non
esiste, il Sudamerica ha
scelto il palcoscenico mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore
della finanza oligarchica planetaria, la city
di Londra.
E adesso veniamo ai fatti.
Jules Assange, il 15 giugno del 2012 capisce che
per lui è finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi l’arresteranno la
settimana dopo, lo porteranno a Stoccolma, dove all’aereoporto non verrà prelevato
dalle forze di polizia di Sua Maestà la regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia, e un diplomatico statunitense,
i quali avvalendosi di specifici accordi formali sanciti tra le due nazioni farà prevalere
il “diritto di opzione militare in caso
di conflitto bellico dichiarato” sostenendo che Jules
Assange è “intervenuto attivamente” all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era
in corso.
Lo porteranno direttamente in Usa, nello Stato del Texas, dove
verrà sottoposto a processo penale per attività terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione
della pena di morte sulla base dell’applicazione del Patriot Act Law.
Si consulta con il suo gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni di
vorticosi scambi di informazioni in tutto il pianeta. “vai all’ambasciata dell’Ecuador
a piedi, con la metropolitana, stai lì”. Alle 9
del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador. Nessuna notizia, non lo sa nessuno.
Il suo gruppo apre una trattativa con gli agenti
inglesi a Londra, con gli svedesi a
Stoccolma e con i diplomatici americani a Rio de
Janeiro. Raggiungono un
accordo: “evitiamo
rischio di attentati e facciamo passare le olimpiadi, il 13 agosto se ne può
andare in Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”.
I suoi accettano, ma allo stesso
tempo non si fidano
(giustamente) degli anglo-americani.
Si
danno da fare e mettono a segno due
favolosi colpi. Il primo avviene il 3 agosto, il secondo il 4.
Il 3 agosto 2012, con un anticipo rispetto alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina
Kirchner, si presenta alla sede di Manhattan del Fondo
Monetario Internazionale accompagnata dal suo ministro dell’economia e dal ministro degli esteri ecuadoregno, Patino,
in rappresentanza di “Alba” (acronimo
che sta per Alianza Laburista Bolivariana America”)
l’unione
economica tra Ecuador, Colombia e Venezuela. In tale occasione, la Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle
televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12
miliardi di euro intestato al Fondo Monetario Internazionale con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo
argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, la Repubblica Argentina ha
dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile
e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in
default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del
debito: scegliemmo semplicemente la
dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a
tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto
nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto
contro le decisioni del Fondo Monetario Internazionale che voleva imporci
misure restrittive di rigore economico sostenendo che fosse l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada diversa, opposta: quella
del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo
sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione,
investendo invece di tagliare. Abbiamo
risolto i nostri problemi. Ci
siamo ripresi. Non solo. Siamo oggi in grado di saldare l’ultima tranche con 16
mesi di anticipo. Le idee del Fondo Monetario Internazionale e della Banca
Mondiale in materia economica sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora lo sono ancor di più oggi:
Chi vuole
operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina:
siamo una nazione che ha dimostrato di essere
solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da
parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i
dispositivi del diritto internazionale……” ecc. Subito dopo (cioè 15 minuti dopo) la Kirchner
ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO (World Trade Organization) la più importante associazione planetaria di scambi commerciali coinvolgendo il
Fondo Monetario Internazionale grazie ai files messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange.
L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso vuole i danni. Con gli interessi
composti. “Volevano questo, bene, l’hanno ottenuto. Adesso che
paghino”.
E’ una lotta tra la
Kirchner e la Lagarde. Le due Cristine
duellano da un anno impietosamente. Grazie
(o per colpa) di Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di
diverse conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono
gli Usa, la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia la fa da padrone: Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta
e sostituito da John Maynard Keynes, lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi potenze;
in queste lunghe conversazioni si parla di come
mettere in ginocchio le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come impedir
loro di riprendersi e crescere, come
fare per impedire ai loro governi di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del Fondo Monetario
Internazionale il cui unico scopo
consiste nel praticare una politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di
Spagna, Italia e Germania, con capitali inglesi. Gran parte dei file già resi pubblici su
internet. Gran parte dei file, gentilmente offerti da Assange all’ambasciatore
in Gran Bretagna dell’Ecuador, il quale - siamo sempre il 3 agosto a New York - ricorda chi rappresenta e che cosa ha fatto
l’Ecuador, ovvero la prima nazione del continente
americano, e unica nazione nel mondo
occidentale dal 1948, ad aver applicato il concetto di “debito immorale”
ovvero “il
rifiuto politico e tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti
consolidati dello Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la
corruzione, la violazione dello Stato di Dirirtto, la violazione di norme
costituzionali”.
Il 12 dicembre del 2008, infatti, il neo presidente del governo dell’Ecuador Rafael Correa (pil
intorno ai 50 miliardi di euro, pari a 30 volte di meno dell’Italia) dichiara ufficialmente in diretta televisiva in
tutto il continente americano (l’Europa non ha
mai trasmesso neppure un fotogramma e difficilmente si trova nella rete europea
materiale visivo) di “aver deciso
di cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale;
hanno alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso.
Hanno fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per
cui ciò che è giusto per la collettività allora diventa legittimo”.
Cifra del debito: 11 miliardi di
euro. Il Fondo Monetario Internazionale fa
cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni civili: non avrà mai più aiuti di
nessun genere da nessuno
“Il paese va isolato” dichiara
Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo Monetario. Il paese è in ginocchio.
Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia
ufficialmente che darà il proprio contributo dando petrolio e gas gratis
all’Ecuador per dieci anni.
Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in
televisione che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e
frutta per nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa.
La sera, l’Argentina annuncia che
darà il 3% della propria produzione di carne bovina di prima scelta gratis
all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la popolazione.
Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di
aver legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene
collettivo. Tassa i produttori di foglie di
coca e offre all’Ecuador un prestito di 5 miliardi di euro a tasso zero
restituibile in dieci anni in 120 rate.
Due giorni dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte & Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza
l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondi di
banane) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica
ecologica pura.
Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi,
i verdi dello Schleswig Holstein, in
Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano
disponibili a firmare subito dei contratti decennali di
acquisto della produzione di banane attraverso regolari tratte
finanziarie pagate in euro che possono essere scontate subito alla borsa delle
merci di Chicago.
Il 20 dicembre del 2008, facendosi
carico della protesta della United Fruit Company, il presidente George Bush (già deposto ma in carica formale fino al 17 gennaio 2009) dichiara “nulla e criminale
la decisione dell’Ecuador” annunciando la richiesta di espulsione del paese dall’Onu:
“siamo pronti anche a una opzione militare per
salvaguardare gli interessi statunitensi”.
Il mattino dopo, il potente studio
legale di New York Goldberg & Goldberg presenta una memoria difensiva sostenendo che c’è un precedente legale.
Sei ore dopo,
gli Usa si arrendono
e impongono alla
comunità internazionale l’accettazione e la legittimità del concetto di “debito
immorale”.
La United Fruit company viene
provata come “multinazionale
che pratica sistematicamente la corruzione politica” e condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro. Da notare che
il “precedente legale” (tuttora ignoto a gran parte degli europei) è datato 4
gennaio 2003 a firma George Bush. Eh già. E’ accaduto in Iraq,
che in quel momento risultava “tecnicamente” possedimento americano in quanto occupato dai marines
con governo provvisorio non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein
aveva lasciato debiti per 250 miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti
dell’Italia grazie alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’opus
dei fedele al vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito
immorale” e quindi aprendo la strada a un precedente storico recente.
Gli avvocati newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e stanno zitti oppure se si annulla la
decisione dell’Ecuador allora si annulla anche quella dell’Iraq e quindi
il tesoro Usa deve pagare
subito i 250 miliardi di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non ancora
insediato ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida parcella
degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il Sudamerica moderno.
E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente
eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un
sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra
pasta. Proveniente
da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico.
Laureato in economia e
pianificazione economica a Harvard, cattolico
credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista
come Gesù Cristo, sempre schierato
dalla parte di chi ha bisogno e soffre”.
Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti
i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo.
Finiscono tutti in
carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni
confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole
ecologiche. Invia una lettera
a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità”
dove chiede ufficialmente che il
vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di
confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore
della Legge degli uomini”.
Tutto ciò lo si può raccontare oggi,
grazie alla bella pensata del Foreign
Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si parla di Rafael
Correa, dell’Ecuador, del debito immorale,
del nuovo Sudamerica che ha
detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e
statunitensi.
In Italia lo
faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.
Questo, per spiegare
“perché l’Ecuador”.
E’ un chiaro segnale che il gruppo
di Assange sta dando a chi vuol capire e comprendere che TINA è un Falso. Non è vero che non esiste alternativa.
Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le
banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello
sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di
efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così. E non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt
Romney, Mario Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria.
L’esempio dell’Ecuador è
vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo.
Anche in Europa.
Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador.
Ma non basta.
Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia
esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012.
“Jules Assange
ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne
rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni nazione del globo”.
Ma chi è Garzòn?
E’ il nemico pubblico
numero uno della criminalità organizzata.
E’ il nemico pubblico
numero uno dell’opus dei.
E’ il più feroce
nemico di Silvio Berlusconi.
E’ in assoluto il
nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.
Magistrato spagnolo
con 35 anni di attività ed esperienza alle spalle, responsabile della procura
reale di Madrid, ha avuto tra le mani i più
importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in “media & finanza” e soprattutto grande
esperto in incroci azionari e finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché
presentò all’interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele
Confalonieri (chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm,
Fininvest, reteitalia e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm
(Berlusconi e Cecchi Gori soci, cioè Pd e PDL insieme) acquistava a 100 $ i diritti di un film alla Columbia Pictures che rivendeva a 500$ alla
telecinco che li rivendeva a 1000$ a rete Italia che poi in ultima istanza vendeva a 2000$ alla Rai,
in ben 142 casi tre volte: li ha venduti
sia a Rai1 che a Ra2 che a Rai3. Lo
stesso film. Cioè la Rai (ovvero noi) ha pagato i diritti di un film 20 volte
il valore di mercato e l’ha acquistato tre volte, così tutti i partiti erano
presenti alla pari.
Quando si arrivò al nocciolo
definitivo della faccenda, Berlusconi era presidente del consiglio, quindi Garzòn venne
fermato dall’Unione Europea. Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la
telecinco e finirono in galera i manager spagnoli.
Ma
Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset. Si riaprì la
battaglia, Garzòn stava sempre lì.
Nel 2006 pensava di avercela
fatta ma il governo italiano di allora (Prodi & co.) aiutò Berlusconi a
uscirne.
Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e
contro il managament dello Ior in Spagna e in Argentina, in relazione al
finanziamento e sostegno da parte del vaticano delle giunte militari di
Pinochet e Videla in Sudamerica.
Nel 2010 Garzòn si dimise andando in
pensione ma aprì uno studio di diritto internazionale
dedicato esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja in Olanda.
E’ il magistrato che è andato a mettere il naso negli
affari più scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso
ai 145.000 file ancora in possesso di Jules Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già fatto sapere che il suo studio è pronto a
denunciare diversi capi di stato occidentali al tribunale dei diritti civili
con sede all’Aja. L’accusa sarà “crimini contro l’umanità, crimini contro la
dignità della persona”.
La battaglia è dunque aperta.
E sarà decisiva soprattutto per il futuro della
libertà in rete.
In Usa non fanno
mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.
Ma hanno non pochi guai
perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben
donde) Assange
ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di
contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno
sa chi siano. Non hanno un sito
identificato. Semplicemente
immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole
sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce.
Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto
viene in superficie.
E allora si
balla tutti.
In Sudamerica, oggi,
la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che non abbia
seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata
dell’Ecuador.
Per questo Garzòn lo
difende.
Per questo, questa storia relativa
al Sudamerica, va raccontata.
Per questo l’Impero
Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
Perché Assange ha accesso a
materiale di fonte diretta.
E il solo fatto di dirlo,
e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo
dentro una Guerra Invisibile Mediatica.
Non sanno come fare a fermare la
diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
Finora gli è andata
bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.
Ma nel caso ci si risvegliasse, per
il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.
Wikileaks non va letto
come gossip.
Non lo è.
C’è
gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a
Canberra, Bogotà o Saint Tropez, rischia anche la pelle.
Questi anonimi
meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che non potremo
più dire, domani “ma noi non sapevamo”.
Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare.
Se poi, con questo Sapere un
internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.
Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa
l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a
zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le
cose.
Altrimenti, non ci si
può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima
dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la
presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra.
Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano
invadere un’ambasciata straniera?
Non era mai accaduto neppure nei
momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.
Come dicono in
Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde
dovunque “In Europa dormono. Non sanno
che la vita esiste”.
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