1. gennaio 1916 : Gramsci odiava il
Capodanno
By:
Paola Re
Su
un giornale che si chiama “Città Futura” è dovere
morale, oltre che piacere, ricordare le parole di
Antonio Gramsci che un
secolo fa nella rubrica “Sotto la Mole” del
giornale “Avanti!”, edizione
torinese, scriveva a proposito di questo giorno celebrato nel mondo sia come festa
cattolica di precetto, sia come festività civile. In questo passaggio da un anno all’altro, c’è qualcosa
che affascina al punto da lasciarsi andare a ogni sorta di festeggiamento,
anche il più scellerato. Le
parole semplici di Gramsci ci riportano nella giusta dimensione di che cosa sia
davvero il Capodanno.
Il suo desiderio di “fare
un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore” ci fa riflettere su ciò che spesso rifiutiamo e rinneghiamo arrogandoci il
diritto e il vanto di essere specie superiore: la
nostra animalità, il tratto più autentico, genuino e sincero della complicata
macchina umana.
31.12.2015
Paola Re
(Il suo scritto originale oppure il testo è anche riportato
qui sotto)
CAPODANNO
“Ogni
mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa dei cielo, sento che per me
è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della
vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e
il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il
senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul
serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci
una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc.
ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è
l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci
sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva
conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono
anch'essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o
dell'età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci
sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata
nel 752, e che il 1490 o il 1192 siano come montagne che l’umanità ha valicato
di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la
data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia
continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi
arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce
abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me
un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni
giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo.
Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio
fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni
ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse.
Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti
gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri
nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò
stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché
scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più
nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno
almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio
d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.”
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