giovedì 31 dicembre 2015

Gramsci: "Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno"

1. gennaio 1916 : Gramsci odiava il Capodanno



By: Paola Re

Su un giornale che si chiama “Città Futura” è dovere morale, oltre che piacere, ricordare le parole di Antonio Gramsci che un secolo fa nella rubrica “Sotto la Mole” del giornale “Avanti!”, edizione torinese, scriveva a proposito di questo giorno celebrato nel mondo sia come festa cattolica di precetto, sia come festività civile. In questo passaggio da un anno all’altro, c’è qualcosa che affascina al punto da lasciarsi andare a ogni sorta di festeggiamento, anche il più scellerato. Le parole semplici di Gramsci ci riportano nella giusta dimensione di che cosa sia davvero il Capodanno. Il suo desiderio di “fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore” ci fa riflettere su ciò che spesso rifiutiamo e rinneghiamo arrogandoci il diritto e il vanto di essere specie superiore: la nostra animalità, il tratto più autentico, genuino e sincero della complicata macchina umana.
31.12.2015
Paola Re

(Il suo scritto originale oppure il testo è anche riportato qui sotto)

CAPODANNO

“Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa dei cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch'essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell'età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 o il 1192 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa la film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.”

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