BERSANI, MONTI E IL GAS CHE CUOCE IL PIANETA
ovvero
IL CLIMA DELLA
CAMPAGNA ELETTORALE
di Mario Agostinelli
1. L’imbroglio del GAS DA SCISTO
In una serie
di documentati articoli sulle pagine di Repubblica, Federico Rampini espone la strategia degli Stati Uniti guidati
da Obama per mantenere una egemonia geopolitica e militare a fronte della impetuosa crescita cinese.
Parte decisiva di questa strategia è rappresentata dal progetto di estrazione
di gas (e petrolio) dagli scisti bituminosi (shale gas),
che porterebbe USA e Canada a soppiantare il primato
nelle fonti fossili dei Paesi Arabi e della Russia e a determinare così
un confronto diretto nella competizione economica con Pechino da posizioni di
forza.
Ma a quale prezzo per il pianeta e per la vita futura? E dove sta il
trucco per avere a basso prezzo un prodotto che richiede più energia per
ottenerlo di quanta ne restituisca? Vale la pena di accennarne anche
per capire la fiera e opportunistica opposizione di Washington e Ottawa all’adesione al protocollo
di Kyoto, con conseguente affossamento
della recente conferenza di Doha.
Il gas da scisto viene
ottenuto con la fratturazione idraulica di rocce che
contengono bitume disperso. Si tratta di perforazioni
orizzontali ai depositi di scisti a
profondità fino a 3 km, con pompaggio in grandi quantità di lubrificanti,
acqua, sabbia e sostanze chimiche ad altissima pressione. Oltre alla devastazione
paesaggistica, naturale e del suolo, la tecnica comporta – per le emissioni di CO2 e di metano - un alto rischio per la salute umana e per l'ambiente, che è
perfino maggiore di quello posto dagli altri combustibili fossili. Altro che effetto serra!
In più si provocano conseguenze disastrose sulla contaminazione e
l'esaurimento delle acque sotterranee e superficiali, sulla biodiversità, sul degrado del suolo e della qualità
dell'aria, oltre a condizioni sismiche, accompagnate da non trascurabili livelli di materiale radioattivo naturale
portato in superficie.
L’Unione
Europea si sta per ora opponendo a questa pratica, nonostante la pressione
della Polonia, che vorrebbe così ottenere un’indipendenza energetica ad ogni
costo, il pressing di grandi lobby come la
Shell per avviare addirittura perforazioni di scisti marini e l’attività
frenetica dei rappresentanti del settore
del governo canadese, che tra il settembre 2009 e luglio 2011, hanno organizzato più di
110 eventi a Bruxelles - più di
uno alla settimana!
Quale
sarebbe la contropartita per USA e Canada (con cui concorda evidentemente il governo Monti che ha proposto una Strategia Energetica nazionale (SEN)
fondata sul rilancio di gas e petrolio)
a fronte di
una accelerazione della crisi climatica?
(N.B. : il gruppo di studio della UE
attribuisce all’effetto serra da shale gas
un valore di default di 107 grammi di CO2 equivalente per megajoule
(CO2eq/MJ) di
carburante, rispetto alla media di 87.5g CO2eq/MJ per il petrolio)?
Paradossalmente
il vantaggio sta in un costo al mercato inferiore
di un terzo rispetto al gas tradizionale, ottenuto
artificialmente attraverso i raggiri delle
banche sui prodotti derivati e su
tutte le forme speculative che stanno dietro alla costruzione di pozzi e
gasdotti, al varo di navi metaniere e all’attivazione di
rigassificatori, ma, alla fine, vengono pagate dai
tagli alle pensioni, dal peggioramento delle condizioni di vita e di salute, dal dissesto della natura indotto dai cambiamenti climatici.
Una bella storia moderna, un po’ sottaciuta dai
media, che sa di vecchio e, tutto sommato, in piena coerenza con la rapacità dei
padroni del mondo. Ma, rispetto ad essa, come si dovrebbe distinguere la sinistra dalla
destra? E
dove sta la tanto conclamata innovazione?
2. Chi paga il mantenimento del sistema dei
FOSSILI?
Le grandi corporation dell’energia
(ENI e ENEL comprese) puntano sull’affidabilità dei sistemi energetici
progettati e utilizzati nel passato e
sembrano diffidare dell’innovazione
radicale richiesta per affrontare la questione climatica e rispondere
all’esaurimento dei fossili. A poco vale scoprire nuovi giacimenti in fondo
all’oceano o tra i ghiacci polari in scioglimento o ricorrere a tecnologie –
come quella dello “shale gas” – che richiederanno sempre maggiore energia
primaria man mano che si esauriscono le riserve di accesso più immediato ed
enormi infrastrutture di trasporto si mangeranno parte del contenuto energetico
prelevato. Il ritorno energetico sull’investimento energetico (EROEI)
(http://it.wikipedia.org/wiki/Ritorno_energetico_sull'investimento_energetico)
per questi sistemi sarà sempre più
compromesso, si accelererà l’esaurimento dei fossili tradizionali impiegati nel
ciclo, verrà innalzata irreversibilmente la temperatura del pianeta con ulteriori emissioni di CO2. Inoltre,
sarà inevitabile cercare di ridurre le esposizioni finanziarie di investimenti
così massicci e rischiosi ricorrendo a polizze assicurative, prodotti derivati
e altri artifici monetari, che giocando prevalentemente sull’economia virtuale,
faranno pagare il conto finale ancora una volta ai contribuenti, in particolare
i ceti popolari, costretti a ripianare debiti altrui.
Perché
allora non assumere strategicamente e definitivamente un cambio del paradigma energetico, sfruttando sempre di più l’energia
diretta e diffusa che proviene dal mondo naturale, anziché quella foriera di
grandi rischi, accumulata in milioni di anni di lavoro della fonte solare e
immagazzinata nelle parti sempre meno raggiungibili del nostro pianeta? Ma non
sembra questa la strada intrapresa dai leader mondiali nei loro incontri
fallimentari. Eppure, ormai il mondo scientifico, le comunità locali,
l’opinione pubblica indicano e sostengono una pluralità di esperienze e
soluzioni nuove, opposte a quelle che ci fornisce abitualmente il sistema
energetico mondiale. Questi soggetti, in sostanza, abbandonano il dogma
quantitativo e confutano l’idea che un organismo cui è impedito di crescere
senza fine, diventi invalido. La sfida del meglio invece del più è
considerevole ed è ad essa che si rivolge una estesa convergenza di esperienze e di programmi che privilegia
con convinzione e fiducia le
rinnovabili, il risparmio, la riduzione delle emissioni climalteranti. A
questo fine vengono sollecitati e si
prodigano ingegneri, scienziati, industriali, economisti, filosofi, psicologi e
qualche politico eccentrico. Le resistenze, occorre dirlo, sono molto potenti e
radicate. Perciò si tratta di affrontare il problema non solo con
l'intelligenza, ma con saggezza ed è questo che forse oggi manca a gran parte
dei politici che ci governano.
“È richiesto un
altro modo di ragionare, non solo un cambiamento del paradigma
tecnico-economico e occorrono azioni esemplari che si stampino nell’immaginario”.
Così insegnava Joachim Gretz, recentemente scomparso, responsabile della ricerca
sull'idrogeno nel Centro di Ricerca della Ue a
Ispra. Il quale, mi piace ricordarlo, richiesto due anni fa di un
esempio dimostrativo per EXPO 2015,
stilò un progetto per trasformare con poca spesa l’alimentazione dei vecchi piroscafi a ruota Patria e Piemonte dei Laghi di Como e Maggiore da gasolio ad
idrogeno. Idrogeno che, almeno per i viaggi inaugurali, sarebbe stato
accumulato nei serbatoi dopo essere stato prodotto per idrolisi con
l’elettricità fornita da pannelli solari posti a copertura degli imbarcaderi di
approdo.
Avremmo
visto così scivolare silenziosi e senza emissioni inquinanti i fumosi “vapori”
delle gite dei nostri nonni…Inutile dire che
una dimostrazione suggestiva – oltre che attraente anche dal punto di
vista turistico - dell'avanguardia tecnologica nel campo dell'energie pulite,
non è stata nemmeno presa in considerazione…
3. dove è finito il CLIMA nella campagna
elettorale?
Nel nostro
Paese continua inesorabile il calo dei consumi energetici. Rispetto a quattro
anni fa spicca il balzo della quota
rinnovabile dal 7,4 al 13,3%, il calo del petrolio dal 42,6 al 37,5% e
quello più contenuto del gas (dal 35,9 al 34,6).
Nel mese di novembre appena terminato il mercato elettrico ha registrato la flessione più consistente da tre anni ad oggi con le vendite delle centrali termoelettriche calate del 22,8% rispetto a novembre 2011, a fronte di un aumento del 33% delle rinnovabili.
Nel mese di novembre appena terminato il mercato elettrico ha registrato la flessione più consistente da tre anni ad oggi con le vendite delle centrali termoelettriche calate del 22,8% rispetto a novembre 2011, a fronte di un aumento del 33% delle rinnovabili.
Qualcosa di
epocale sta avvenendo e sembrerebbe un buon punto di partenza per riflettere
sulle scelte energetiche in campagna elettorale e lanciare con coraggio anche
in Italia un cambio di marcia a sostegno delle azioni per il clima e la salute. Lo ha fatto a
sorpresa Obama nel suo discorso
inaugurale da Presidente al secondo mandato, prendendo in seria considerazione
i dati a consuntivo per l’anno sui cambiamenti climatici, che a livello globale
registrano una anomalia media di +0,26°C
- ovvero di 0,07°C superiore a quella del 2011 - con un 2012 più caldo anche della media del
trentennio più recente.
Mentre
l’allarme per il restringimento della calotta
Polare Artica, che occupa ormai appena 3,41 milioni di chilometri quadrati
( neanche la metà del valore medio dell’ultimo ventennio del XX secolo!),
neanche sfiora le stanze di Palazzo Chigi, dovrebbero preoccupare le notizie
che riguardano l’Europa, con il
Regno Unito che nel suo complesso ha vissuto la sua estate più umida, le
regioni a medio-alte latitudini che hanno subito un aumento delle
precipitazioni accompagnate da un clima sempre più caldo con intense tempeste
di sabbia e, soprattutto, la zona
Mediterranea che si appresta a diventare irreversibilmente più asciutta. L’Italia è proprio all’incrocio di
questi cambiamenti ed è per questo che soffre di violenti fenomeni, che
andrebbero prevenuti e considerati come un oggetto prioritario di una urgente
azione politica.
Ma la campagna
elettorale appena incominciata si concentra sulle poltrone, sulle alleanze
e gli schieramenti. Vanno in cavalleria le proposte su agricoltura,
urbanistica, filiere a chilometro zero, protezione del territorio, trasporti,
riduzione delle emissioni e sostegno alle fonti rinnovabili, che pure interessano le discussioni della gente comune,
ma non rimbalzano mai dai twitter dei
capolista, ossessivamente occupati dalla geometria delle future coalizioni.
Ci hanno
provato i movimenti, che hanno cercato un
contatto con la politica, ma con scarso successo. Hanno proposto
un grande progetto di riconversione ecologica dell’economia per
garantire la sicurezza dei cittadini, la
riduzione del consumo di suoli agricoli, il controllo climatico. Hanno rese
concrete e credibili soluzioni tutte in controtendenza con il ritorno ai
fossili della Strategia Energetica Nazionale (SEN), riprodotta dall’agenda
Monti, che per gran parte dei
media rappresenta l’ortodossia indiscutibile.
Se però si passano in rassegna i programmi
dei contendenti alle elezioni di Febbraio, ci si accorge che la parola clima non compare mai.
L’elenco redatto da Monti è lungo 24 pagine: mezza pagina
si occupa della riduzione del prezzo
dell’energia attraverso il rilancio
del gas e del petrolio!
Il programma di Berlusconi è un funambolico gioco di specchi in cui l’ambiente è
totalmente opacizzato.
Bersani elenca 10 idee per cambiare e, tra queste, una vaga
affermazione sull’energia come bene che va tutelato e sottoposto al controllo
dell’ennesima authority. Fortunatamente, più attenti appaiono Vendola, che esprime proposte
articolate su rinnovabili e risparmio, mobilità e smart cities e Grillo, che si
impegna in una disanima per 7 punti sul
ricorso ad un’energia pulita e risulta efficace anche se disorganico.
Ingroia se la cava auspicando uno sviluppo economico compatibile con
ambiente, vita e salute.
Ma, nel complesso, manca passione e visione, travolti come siamo da
calcoli e proiezioni di seggi, anziché da un’idea di discontinuità fondata
su azioni e ragioni concrete, indirizzate a
un orizzonte di sviluppo e sostenibilità ambientale che faccia da premessa al lavoro buono e alla giustizia
sociale. A meno che il discorso di Obama
risvegli i nostri dal provincialismo che si è impadronito di loro.
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