EUTANASIALEGALE
Giovedì, 8
Dicembre, 2016 - 12:19
"Io medico e cattolico aiuto i malati a morire"
Il primario dell'ospedale Gemelli, Mauro Sabatelli, intervistato da Repubblica
spiega perché non ci sarebbe nemmeno bisogno di una nuova legge per rispettare
la volontà dei malati che chiedono il distacco del respiratore sotto sedazione.
Il problema è che, come lo stesso Sabatelli denuncia, in molte strutture sanitarie si
impongono trattamenti sanitari contro le scelte del malato, contro la
Costituzione, contro le buone pratiche mediche e persino contro la dottrina
cattolica. Ecco perché è importante una buona
legge su testamento biologico, che garantisca
a tutti, e non solo a
chi capita nell'ospedale "giusto", il diritto di interrompere le cure.
«Piergiorgio
Welby e Walter Piludu? Fossero stati miei pazienti, avrei seguito le loro decisioni
senza bisogno di tribunali. Perché il rifiuto delle cure non è eutanasia ma una
questione di buona prassi medica. Già oggi la legge, la Costituzione e il
codice deontologico lo consentono. Anche il Magistero della Chiesa è
chiaro: non
c'è un diritto di morire ma sicuramente un "diritto a morire in tutta
serenità, con dignità umana e cristiana"».
Dopo la sentenza di Cagliari che
autorizzava Piludu, malato di Sla, a vedersi togliere il respiratore sedato,
andandosene senza soffrire, parla Mario Sabatelli, primario al
Gemelli di Roma, un ospedale di forti tradizioni cattoliche. Guida
"Nemo", il reparto all'avanguardia per i malati di sclerosi laterale amiotrofica: 10 letti,140
nuovi pazienti ogni anno, 250 in cura.
Scegliere allunga la vita?
«Sì. Lo vedo nella mia esperienza.
I malati da noi sanno che potranno rinunciare al respiratore, quando per loro
dovesse diventare intollerabile. Solo con questa
sicurezza il 30 per cento accetta oggi la tracheotomia».
Chi deve
decidere?
«Solo
il malato può valutare se la ventilazione meccanica è trattamento proporzionato
alla propria condizione e quindi non lesivo della propria dignità di vita. Chi accetta
ha diritto ad essere assistito a casa, aiutato dalle istituzioni. Chi rifiuta ha
diritto a morire con dignità».
Parla di abusi
negli ospedali.
«Conosco il calvario di chi vive con la Sla, per questo trovo scandaloso che in molti pronto soccorso i medici si
arroghino il diritto di intubare malati che hanno detto di no, o minaccino di
mandarli a casa se non accettano la ventilazione forzata. Una follia. Il
compito del medico è seguire le scelte del paziente, alleviare le sofferenze. Troppi non lo
fanno per paura, ignoranza della Costituzione e dei documenti della Chiesa».
Qual è l'opzione?
«Tra morire senza dolore con una sedazione o accettare l'ausilio delle macchine. Con
l'arrivo dei ventilatori portatili la scelta è tra una maschera collegata al macchinario, oppure la tracheotornia».
Scelta etica o
medica?
«Sicuramente etica, dipende
dalla visione esistenziale che ha il paziente, dalle sue idee, dalla sua
persona. A noi medici
spetta il compito di informarlo in modo approfondito. Al "Gemelli" studiamo un piano
dí cura coi malati, ascoltiamo i voleri di chi vive con un tubo in gola, un
sondino per nutrirsi. Li seguiamo nel cammino, sino
all'ultimo. Perché io non
li lascio andare, non li lascio morire. Li accompagno sino alla fine. Mi assicuro che venga seguite la loro volontà e non soffrano».
Li addormenta e toglie il respiratore?
«Sì l'abbiamo fatto a pazienti che, stanchi di vivere immobili, attaccati
alle macchine, hanno detto basta. Sono stati sedati profondamente e solo a quel punto spenta la macchina che
soffiava aria nei polmoni. Sono morti senza dolore, dormendo».
C'è chi dice: è
eutanasia.
«C'è una differenza abissale con l'eutanasia, sia negli obiettivi che nelle
procedure. Qui parliamo
di scelte terapeutiche, lo dice la legge, la Costituzione nell'articolo 32
sottolinea che nessuno può essere obbligato a subire cure. Sceglie
il paziente e il rifiuto della respirazione forzata rientra nel consenso
informato. Certo,
il risultato finale è la morte, ma è cosa diversa dal dare un farmaco che provoca la fine. Sceglie la persona e il principio che ci
guida è la proporzionalità».
Cosa dice la
Chiesa?
«In un
documento del 1980 c'è scritto: "È lecito interrompere
l'applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte
in essi". Il medico deve assistere chi soffre,
eliminare il dolore. Io, medico, riconosco il diritto a rifiutare la cura e
assisto il sintomo, il senso di soffocamento, con la sedazione».
C'è chi parla di
omicidio.
«Negli anni '50 Pio XII disse: "Compito del
medico è lenire le sofferenze e se anche il farmaco dovesse accelerare la fine,
il nostro obiettivo è togliere la sofferenza". Quindi la sedazione
profonda è eticamente accettabile».
I malati
decidono di morire?
«Le persone che rinunciano alle cure non decidono di morire, decidono come vivere. La vita è un valore inestimabile, ma
bisogna farsene carico, aiutare le famiglie. Invece vedo malati di Sla, dalle cure costose e complesse, lasciati soli. Ci sono
differenze enormi nella qualità dell'assistenza a seconda della città».
Manca una legge
su fine vita?
«I cinque a cui abbiamo staccato i
respiratori lo avevano chiesto a voce. Il problema è che aggravandosi molti,
1'8 per cento, restano lucidi ma non possono comunicare. L'Aisla,
l'associazione dei pazienti, sta lavorando a disposizioni anticipate di
trattamento che consentano il rispetto della volontà quando non potranno
dirla». Perché la legge è ancora un'utopia.
http://eutanasialegale.it/articolo/io-medico-e-cattolico-aiuto-i-malati-morire
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