Lettera ai parlamentari italiani dell'Associazione Movimento Antispecista in merito AI METODI SOSTITUTIVI ALLA VIVISEZIONE
2.5. Lettera aperta ai Parlamentari italiani.
Gentile
Onorevole,
la sperimentazione sugli animali non
umani, come saprà, viene detta anche in riferimento ad
alcuni tipi di esperimenti che procurano
lesioni e dolori ad un “animale da laboratorio”
(come cinicamente viene definita una “cavia”),
con o senza
anestesia[1].
Oppure in riferimento ad esperimenti che
mirerebbero a verificare la tossicità, la nocività, o l’efficacia di svariate
sostanze, dagli ingredienti chimici usati per qualsiasi prodotto, ai farmaci,
alle droghe, e via dicendo. Tali
esperimenti procurano in generale la
morte dei soggetti utilizzati (allevati o
catturati in natura) sia sani,
sia fatti ammalare appositamente per tentare di verificare l’efficacia del
farmaco, di solito tra atroci dolori. Ecco perché
anche questi esperimenti vengono chiamati >.
A volte l’esperimento può non essere letale. Comunque, in genere il soggetto viene poi
sezionato (dopo averne procurato eventualmente la morte
di solito con il classico colpo alla
nuca) per
prelevarne gli organi e vedere fino a che punto sono stati compromessi dalle
sostanze utilizzate.
Circa i farmaci, nel 1938 il
Congresso USA autorizzò la nascita della Food and Drug Administration (F.D.A.) per mettere un minimo di controllo agli studi clinici (ossia sugli umani). Fino ad allora, con
gli studi clinici così detti “aperti”, si poteva infatti testare liberamente su “cavie” umane, a loro insaputa, senza
alcuno scopo prefissato, anche in Europa. A metà anni ’70, anche in seguito alle raccomandazioni
scaturite dal processo di Norimberga[2]
e altri accordi
internazionali, la F.D.A. emise un codice etico (buone pratiche di laboratorio e
cliniche) per testare con più serietà sugli
umani, imponendo gli studi “controllati”, ove occorre dichiarare lo scopo del test di una
molecola per impedire di
nasconderne i risultati. Per ovviare a ciò si passò quindi ai test preventivi
sugli animali non umani (i così detti “animali”) per sperimentare “liberamente”, anche se é noto che tali test non sono
sufficientemente predittivi per gli esseri umani. In Europa, la prima norma che ha obbligato a
sperimentare (prima) sugli “animali”
risale al 1965. Da allora, i test clinici sugli umani confermano quelli
pre-clinici sugli “animali”, tramite una serie di cicli, e non il contrario[3]. E’ infatti sempre necessario sperimentare
sull’uomo per avere la conferma o la negazione dei risultati dei test sui non
umani, con evidenze spesso diametralmente opposte.
La sperimentazione clinica sull’uomo, regolata dalla direttiva 2001/20 (buona pratica clinica)
e recepita con il dlgs
24.6.2003 n. 211, stabilisce 4 fasi per il test dei farmaci sull’uomo.
La prima, su individui sani, per testare la tossicità del prodotto, deve essere effettuata
con il consenso dei volontari (che
spesso, nelle fasi successive alla prima, manca) pur
non essendo necessario pubblicare i risultati dei test tossicologici effettuati
sugli “animali”.
Le successive riguardano solo l’efficacia del farmaco, come obiettivo prioritario. In particolare, la seconda viene effettuata su pazienti
ospedalizzati, e la terza su pazienti delle ASL.
La quarta corrisponde alla
commercializzazione aperta del farmaco.
Durante tale ultima fase
(detta di “farmacovigilanza”) i medici sono
invitati a fornire evidenza scritta dell’efficacia e degli eventuali effetti
collaterali, cosa
che purtroppo non sempre viene effettuata. Occorre notare come tali test siano assolutamente immorali quando si tratta non di debellare una
nuova malattia, bensì di testare farmaci
destinati a sostituire altrettanti farmaci divenuti ‘generici’ (ossia per i quali è
semplicemente scaduto il brevetto e possono essere prodotti liberamente da
tutte le aziende farmaceutiche, a
costi concorrenziali), in particolare se
questi ultimi sono efficaci e con lievi o nulli effetti collaterali.
Tutte le fasi sono autorizzate dal Ministero della salute. Tuttavia, non sono ufficialmente effettuati
specifici test per ogni tipo di “effetto
collaterale”, in
particolare per i più gravi, come la cancerogenesi, la tossicità genetica,
quella riproduttiva, ecc.., per ovvii motivi
economici (tempi troppo lunghi e costi troppo elevati) ed “etici” (difficoltà
di trovare le “cavie”). Chi oserebbe infatti
proporre apertamente tali test ad una persona se
non come estremo rimedio? Per cui essi vengono effettuati sugli umani
solo durante l’ultima fase, quando il
prodotto viene liberamente commercializzato, a insaputa dei pazienti.
Sulle
confezioni non viene infatti mai
riportato in quale “fase” il prodotto
si trova[4],
col
risultato che il solo test preliminare per tali
effetti collaterali è quello effettuato sugli “animali”. Per quanto riguarda la tossicità riproduttiva (o
teratogenesi) in ogni confezione di medicinali il foglietto illustrativo ne sconsiglia infatti quasi sempre l’utilizzo alle gestanti. Chiaramente, ciò avviene per
evitare conseguenze simili a quelle del ben noto ‘Talidomide’, per cui è chiaro
che all’affidabilità dei test sulle cavie non umane non ci crede nessuno.
Circa la tossicità genetica e la cancerogenesi, gli
effetti sono in genere così lontani nel tempo, e così confondibili con altre
cause (es. dieta, sostanze chimiche, inquinamento, fumo, ecc..) che i
produttori non corrono rischi, e la relativa tossicità si scoprirà solo quando
sarà .. troppo tardi.
Per i prodotti chimici, il regolamento europeo REACH impone invece dal
2007 l’obbligo assurdo di testarli solo sugli “animali” (con tanti auguri per
i consumatori..).
Da notare, infine,
che tutti i test dei farmaci vengono effettuati dalle industrie produttrici,
con rarissimi controlli da parte dello Stato. Quindi,
il controllore (le industrie) controlla se stesso! Ed i risultati sono coperti dal
segreto industriale! Per tale motivo sono sempre state rifiutate dalle lobby industriali
le banche dati sui risultati dei test, che faciliterebbero verifiche troppo “scomode” (notare che tale
emendamento, proposto di recente per il recepimento della direttiva 2010/63, è
stato bocciato alla Camera!).
In merito ai famosi “metodi alternativi” (in genere non “sostitutivi”),
è importante sapere che sono chiamati in tal modo anche quelli che riducono
semplicemente (e non si dice di quante
unità..) il numero degli “animali” utilizzati,
e/o le loro sofferenze. Inclusi i metodi “in vitro”, che necessitano pur sempre dell’uccisione
preventiva di “animali” per disporre
dei loro organi o cellule. A meno che siano utilizzate colture di cellule animali o umane. Cosmetici inclusi,
per i quali non è affatto vero che ne siano stati
vietati i test sugli animali, specie per gli effetti più seri di cui
sopra (cancerogenicità, tossicità riproduttiva e genetica, e tossico cinetica)[5]. Semplicemente, se
sottoposte a tali test, le sostanze utilizzate per la cosmesi (ove dichiarate a
tal fine!) non potranno essere commercializzate nella UE. Ma fuori, si!
Inutile quindi, anche in base alla relazione della
Commissione UE del settembre 2011 sui cosmetici, sperare troppo in tali metodi
per abolire la vivisezione, nonostante
la propaganda sul principio delle 3R (ridurre,
raffinare, sostituire) inventato nel lontano 1959 e che fino ad ora non ha prodotto che scarsissimi
risultati.
Certamente, i test sugli “animali” servono! Servono a vedere “che effetto fa” una
sostanza,
a produrre
tesi di laurea o pubblicazioni scientifiche per concorsi. E servono – per i farmaci - a poter poi più liberamente sperimentare
sugli umani o, per i prodotti chimici, a venderli liberamente senza il rischio
di richieste di danni, perché i test così
effettuati sono considerati “necessari e
sufficienti”.
Ma
non servono certo a sostituire i test sui “consumatori
finali”. Lo affermano anche prestigiose
riviste scientifiche internazionali, quali il British Medical Journal (2004), Nature
(2005), Sapere (2006) e persino il National Research Council degli
U.S.A. (2007), ed esperti come il Prof.
Thomas Hartung, già direttore dell’ECVAM[6].
La sperimentazione
sugli animali di farmaci e sostanze chimiche ‘copre’ pertanto un
gravissimo problema scientifico ed etico! Non solo il test sugli “animali” non è risolutivo (anzi, di norma è fuorviante), e causa
enormi sofferenze, perdita di vite, tempo e denaro, ma autorizza a
sperimentare poi sulle persone anche
prodotti inutili o superflui (magari inventati al solo scopo di
ottenere nuovi brevetti farmaceutici per altri decenni, come sopra accennato), o a non testare
affatto sugli umani, come per le sostanze che assumiamo nei cibi, nelle
bevande, nell’aria che respiriamo, o le onde elettromagnetiche dei cellulari,
ecc.. Con i
risultati che ognuno di noi può immaginare.
Tuttavia, la
vivisezione in Europa, e quindi anche in Italia, è obbligatoria per tutte le
sostanze e i prodotti che possono interferire con la salute dell’uomo.
L’art. 117 della nostra Costituzione,
nel definire la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, riconosce in primis i vincoli derivanti
dalle normative europee. A livello
nazionale - in tema di legislazione concorrente con le Regioni – ed in
particolare per quanto riguarda la ricerca scientifica e tecnologica, spetta
inoltre allo Stato la determinazione dei “principi
fondamentali”. Nel caso della vivisezione, pertanto, le direttive ed i
regolamenti suddetti sono inderogabili per l’Italia, salvo eccezioni ammesse dalle stesse normative,
ed anche le Regioni devono sottostarvi. Inutile quindi chiedere l’abolizione “tout court” della vivisezione. Al massimo si
sarebbero potute mantenere le norme (tutte) previste dalla nostra legislazione (dlgs 116/92, legge 281/91, e
legge 413/93) dato che la nuova
direttiva 2010/63 all’art. 2 (Misure più restrittive) lo consente. Anche se in ritardo (bisognava dirlo entro il 2012),
lo avremmo
potuto certo pretendere. Queste avrebbe
permesso al nostro Paese di mantenere un notevole grado di autonomia
legislativa in materia. Tali
misure “più restrittive” sono
rappresentate nel dlgs 116/92 dagli artt. 3.2; 4.3; 4.4; 8; 9; 17; e 18. Bastava incorporarle nella nuova norma di recepimento
della direttiva 2010/63, ed applicarle non rinnovando le autorizzazioni di solito
concesse (es. esperimenti su cani, gatti e primati, didattica, assenza
di anestesia, ecc.). Senza far passare in Parlamento emendamenti fuorvianti e peggiorativi
(v. l’autorizzazione a sperimentare su cani, gatti e primati “per
la salute dell’uomo”, e la “formazione
di medici e veterinari” prevista
nella didattica). Il nulla osta del
Ministero della Salute e dell’I.S.S. o altri istituti, richiesti per tali
autorizzazioni negli emendamenti suddetti e nella bozza di decreto legislativo
del Governo a fine 2013, non potrebbero infatti essere mai negati ove gli scopi
fossero quelli sopra dichiarati. Un’osservazione particolare merita peraltro la legge 413/93
sull’obiezione di coscienza, che andrebbe inclusa nelle nuova legge nazionale
sulla vivisezione, ovvero richiamata nella stessa,
e che
rischia di costituire un possibile elemento di discriminazione nel mercato del
lavoro, specie se invocata
successivamente all’assunzione o all’iscrizione a corsi didattici di
qualsiasi livello. Per cui tali aspetti andrebbero
meglio tutelati.
Occorre quindi rendere decisamente ‘etica’ la
produzione di tutto ciò che possa nuocere e che debba essere sottoposto a test
di tossicità e/o efficacia nel campo dei farmaci e delle sostanze chimiche, o
in altri campi correlati, al di là dei ‘quantitativi’ di produzione. Questo obiettivo potrà esser raggiunto solo gradualmente, stante le normative
UE in vigore. Nell’immediato è tuttavia possibile
dare il via a tale processo varando alcune fondamentali norme, che qui
suggeriamo, non in contrasto con quanto
ammesso dalla direttiva 2010/63, e quindi non suscettibili di ricorso alla
Corte di Giustizia della UE:
-
Effettuazione dei test clinici
per tutti i farmaci destinati agli umani su ‘volontari’ effettivamente ‘informati’ in tutte le fasi (oltre la prima, per la quale la richiesta del
consenso informato è rispettata, dato i
rischi che si corrono) previste oggi per tale
sperimentazione, sotto il controllo dei Comitati etici. (A tal fine
sarebbe sufficiente inserire l’indicazione della “fase” - con gli estremi dell’autorizzazione ministeriale e la
relativa data di inizio e termine, in chiaro - sulle confezioni dei prodotti,
in modo che i cittadini siano palesemente informati del fatto che il prodotto è
distribuito in via sperimentale, e dei rischi che quindi corrono
nell’assumerlo, e possano scegliere liberamente). A tale provvedimento
occorrerebbe poi aggiungere la possibilità di una effettiva ‘farmacovigilanza’ tramite la raccolta
obbligatoria degli effetti collaterali e dell’efficacia del farmaco, come
peraltro previsto recentemente dalla UE ma non ancora messo in pratica.
Inoltre, occorrerebbe, come avviene per i donatori di sangue, concedere ai
volontari un riconoscimento ‘morale’
particolare ( quindi non in denaro, così come previsto oggi dalla relativa
normativa).
Assurdo,
come si è sentito proporre recentemente, stampare sulla scatola ‘prodotto testato sugli animali’ per
magnificare il contributo (per nulla garantista) a loro imposto! In realtà, è
sugli umani (nelle fasi suddette) che oggi è e sarà effettuato il vero test. Il
sistema andrebbe esteso anche alle
sostanze chimiche, per le quali sulla confezione del prodotto andrebbe (allora
sì) riportata (in attesa che vengano resi obbligatori i test clinici!) la dicitura ‘Prodotto testato (solo) su animali’. Per inviare al consumatore un
chiaro messaggio: ‘attenzione: il
prodotto non è stato testato clinicamente!’. (Le normative europee non lo
vietano!). Tale approccio eliminerebbe col tempo i test pre-clinici sugli ‘animali’, in quanto saranno le
industrie stesse a richiederlo, non ritenendo opportuno sostenere costi inutili
(gli USA stanno infatti procedendo speditamente nella loro campagna anti-REACH
proprio per tali motivi). In tal modo si ridurrà altresì la produzione di
farmaci ‘successori’ dei generici, e
di farmaci, sostanze o prodotti inutili, per scelta dei consumatori, dando modo
alle industrie di riconvertirsi adattandosi gradualmente a nuovi metodi
sostitutivi.
-
Divieto assoluto dei test
pre-clinici per i cosmetici.
L’Italia può vietare da subito tali test, anche se dopo l’11 marzo 2013 sono limitati a quelli
relativi alla cancerogenicità, tossicità riproduttiva e genetica e
tossicocinetica[7],
in quanto la direttiva 2010/63 non si applica a tale categoria di sostanze (v.
art. 1 della direttiva 210/63) e la nostra legislazione lo consente (dlgs
116/92, art. 18 comma 3).
-
Obbligatorietà dei metodi
alternativi e sostitutivi già validati dall’EURL ECVAM e OCSE. Nella direttiva 2010/63 (art. 13) non è espresso
chiaramente tale obbligo (bensì solo una raccomandazione), ma nemmeno il
divieto di renderli obbligatori. Nello stesso
articolo è inoltre permesso agli Stati membri di rinunciare ad ‘alcuni metodi’ (non ben specificati!) sulla
base della legislazione nazionale. Basterebbe quindi inserire che l’Italia vieta
tale possibilità ove tali metodi siano ‘più restrittivi’ di quelli previsti
dalla legislazione UE e internazionale.
-
Potenziamento della ricerca di metodi sostitutivi[8]
tagliando
parallelamente i finanziamenti a quelli che utilizzano ‘animali’. Senza tale provvedimento, non sarà mai possibile superare
la sperimentazione animale.
-
Nell’immediato, peraltro, con
riferimento alla procedura di controllo prevista dall’art. 76 della Costituzione (parere
delle Commissioni Permanenti interessate) sulla bozza di decreto legislativo emesso dal Governo in applicazione
dell’art. 13 della legge delega 96/2013, riguardante il recepimento della
direttiva 2010/63, si auspica la
massima fermezza delle suddette Commissioni nel controllo dei principi e dei
criteri direttivi emessi al riguardo dalle Camere, senza con ciò
entrare nel merito degli stessi in quanto già oggetto di precedente esame e
votazione democraticamente espressa.
E’ chiaro, a questo punto, il motivo per il quale si protesta contro la vivisezione e anche contro
la direttiva 2010/63, la
quale, paradossalmente, anziché stabilire rigide misure protezionistiche
(pur sempre nell’ambito di una pratica
immorale) detta addirittura i fini ‘ammessi’ per la vivisezione,
rendendoli un ‘diritto’
per i ricercatori! In tal modo, oltre
a violare numerosi principi stabiliti dal Trattato sul Funzionamento della UE in
merito alla ricerca scientifica e la salute dei cittadini (non certo
tutelate dai test pre-clinici) viola anche la libertà
di decidere democraticamente a livello nazionale in merito ad argomenti di
carattere etico, tema non di esclusiva competenza
dell’Unione Europea. Non solo, ma
all’articolo 2 impedisce, come sopra
accennato, di adottare a
livello nazionale “misure più
restrittive” a favore degli “animali” se non già in vigore al 9 novembre 2010, contraddicendo
quanto a tale proposito stabilito dalla
precedente direttiva 86/609 e la propria finalità di norma “protezionistica”.
Pertanto andrebbe impugnata davanti alla Corte di Giustizia UE del Lussemburgo da
parte del Governo,
unica Istituzione abilitata dalla UE a tale
procedimento.
Un documento analitico a tale proposito è pubblicato sul
sito www.antispec.org > Iniziative legislative >
Critica della direttiva 2010/63. Le proteste in corso da anni contro gli stabilimenti
allevatori, fornitori ed utilizzatori facenti parte della “filiera”
vivisezionista (Green Hill, Harlan, ecc.) sono oggi peraltro un chiaro
sintomo dell’esasperazione di gran parte della popolazione ormai conscia del
fatto che la sperimentazione sugli animali non umani e umani (e a loro
insaputa) andrà avanti per sempre se non si interviene affinché il guadagno
non sia anteposto ad una ricerca veramente scientifica ed etica. Quella stessa etica suggerita non da emotività o buonismo ‘animalista’ bensì dalle conoscenze di
campi della scienza stessa quali
l’etologia e la zoo-biologia. Queste ultime hanno rivelato come gli
animali non umani siano esseri coscienti e sensibili (ossia senzienti), e di conseguenza non possano più essere trattati come ‘oggetti’ anche dalle altre
branche della scienza, quale la ricerca biomedica, a scapito di essere tacciata di ‘oscurantismo’. Di questo la politica deve farsi carico, e porre tutti gli ostacoli
possibili allo sfruttamento di umani e non umani, accelerando di
conseguenza tale processo di conversione.
Massimo Terrile[9]
8 gennaio 2014.
[1]
Es. l’uso dei maiali per le esercitazioni di laparoscopia, largamente in uso.
[2]
V. Allegato n. 4.4.
[3]
Cfr.: Philippe Pignarre: Le gran secret de l’industrie pharmaceutique; Paris,
La Découverte, 2004.
[4]
Come invece occorrerebbe scrivere sulla confezione per dar modo ai cittadini di
esserne informati.
[5]
V. Direttiva 2003/15 e Regolamento 1223/2009 in : ‘Cosmetici: luci ed ombre’,
Allegato n. 4.5.
[7]
V. Allegato n. 4.5.
[8]
Cfr.: Stefano Cagno in ‘Scienza e Farmaci’, 24/12/013: Le contro risposte degli
abolizionisti a Garattini ..
[9]
V. Biografie autori.
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