mercoledì 15 gennaio 2014

Lettera ai parlamentari italiani dell'Associazione Movimento Antispecista in merito AI METODI SOSTITUTIVI ALLA VIVISEZIONE



Lettera ai parlamentari italiani dell'Associazione Movimento Antispecista in merito AI METODI SOSTITUTIVI ALLA VIVISEZIONE

2.5.    Lettera aperta ai Parlamentari italiani.    


Gentile Onorevole,
            la sperimentazione sugli animali non umani, come saprà, viene detta anche in riferimento ad alcuni tipi di esperimenti che procurano lesioni e dolori ad un “animale da laboratorio” (come cinicamente viene definita una “cavia”), con o senza anestesia[1]. Oppure in riferimento ad esperimenti che mirerebbero a verificare la tossicità, la nocività, o l’efficacia di svariate sostanze, dagli ingredienti chimici usati per qualsiasi prodotto, ai farmaci, alle droghe, e via dicendo. Tali esperimenti  procurano in generale la morte dei soggetti utilizzati (allevati o catturati in natura) sia sani, sia fatti ammalare appositamente per tentare di verificare l’efficacia del farmaco, di solito tra atroci dolori. Ecco perché anche questi esperimenti vengono chiamati >. A volte l’esperimento può non essere letale. Comunque, in genere il soggetto viene poi sezionato (dopo averne procurato eventualmente la morte di solito con il classico colpo alla  nuca) per prelevarne gli organi e vedere fino a che punto sono stati compromessi dalle sostanze utilizzate.
            Circa i farmaci, nel 1938 il Congresso USA autorizzò la nascita della Food and Drug Administration (F.D.A.) per mettere un minimo di controllo agli studi clinici (ossia sugli umani).  Fino ad allora, con gli studi clinici così detti “aperti”,  si poteva infatti testare liberamente su “cavie” umane, a loro insaputa, senza alcuno scopo prefissato, anche in Europa. A metà anni ’70, anche in seguito alle raccomandazioni scaturite dal processo di Norimberga[2] e altri accordi internazionali, la F.D.A. emise un codice etico (buone pratiche di laboratorio e cliniche) per testare con più serietà sugli umani, imponendo gli studi “controllati”, ove occorre dichiarare lo scopo del test di una molecola per impedire di nasconderne i risultati. Per ovviare a ciò si passò quindi ai test preventivi sugli animali non umani (i così detti “animali”) per sperimentare “liberamente”, anche se é noto che tali test non sono sufficientemente predittivi per gli esseri umani. In Europa, la prima norma che ha obbligato a sperimentare (prima) sugli “animali” risale al 1965. Da allora, i test clinici sugli umani confermano quelli pre-clinici sugli “animali”, tramite una serie di cicli, e non il contrario[3]. E’ infatti sempre necessario sperimentare sull’uomo per avere la conferma o la negazione dei risultati dei test sui non umani, con evidenze spesso diametralmente opposte.
La sperimentazione clinica sull’uomo, regolata dalla direttiva 2001/20 (buona pratica clinica) e recepita con il dlgs 24.6.2003 n. 211, stabilisce 4 fasi per il test dei farmaci sull’uomo.
La prima, su individui sani, per testare la tossicità del prodotto, deve essere effettuata con il consenso dei volontari (che spesso, nelle fasi successive alla prima, manca) pur non essendo necessario pubblicare i risultati dei test tossicologici effettuati sugli “animali”.
Le successive riguardano solo l’efficacia del farmaco, come obiettivo prioritario. In particolare, la seconda viene effettuata su pazienti ospedalizzati, e la terza su pazienti delle ASL.
La quarta corrisponde alla commercializzazione aperta del farmaco. Durante tale ultima fase (detta di “farmacovigilanza”) i medici sono invitati a fornire evidenza scritta dell’efficacia e degli eventuali effetti collaterali, cosa che purtroppo non sempre viene effettuata. Occorre notare come tali test siano assolutamente immorali quando si tratta non di debellare una nuova malattia, bensì di testare farmaci destinati a sostituire altrettanti farmaci divenuti ‘generici’ (ossia per i quali è semplicemente scaduto il brevetto e possono essere prodotti liberamente da tutte le aziende  farmaceutiche, a costi concorrenziali), in particolare se questi ultimi sono efficaci e con lievi o nulli effetti collaterali.
Tutte le fasi sono autorizzate dal Ministero della salute. Tuttavia, non sono ufficialmente effettuati specifici test per ogni tipo di “effetto collaterale”, in particolare per i più gravi, come la cancerogenesi, la tossicità genetica, quella riproduttiva, ecc.., per ovvii motivi economici (tempi troppo lunghi e costi troppo elevati) ed “etici” (difficoltà di trovare le “cavie”). Chi oserebbe infatti proporre apertamente tali test ad una persona se non come estremo rimedio? Per cui essi vengono effettuati sugli umani solo durante l’ultima fase, quando il prodotto viene liberamente commercializzato, a insaputa dei pazienti. Sulle confezioni non viene infatti mai riportato in quale “fase” il prodotto si trova[4], col risultato che il solo test preliminare per tali  effetti collaterali è quello effettuato sugli “animali”. Per quanto riguarda la tossicità riproduttiva (o teratogenesi) in ogni confezione di medicinali il foglietto illustrativo ne sconsiglia infatti quasi sempre l’utilizzo alle gestanti. Chiaramente, ciò avviene per evitare conseguenze simili a quelle del ben noto ‘Talidomide’, per cui è chiaro che all’affidabilità dei test sulle cavie non umane non ci crede nessuno. Circa la tossicità genetica e la cancerogenesi, gli effetti sono in genere così lontani nel tempo, e così confondibili con altre cause (es. dieta, sostanze chimiche, inquinamento, fumo, ecc..) che i produttori non corrono rischi, e la relativa tossicità si scoprirà solo quando sarà .. troppo tardi.
Per i prodotti chimici, il regolamento europeo REACH impone invece dal 2007 l’obbligo assurdo di testarli solo sugli “animali” (con tanti auguri per i consumatori..).
Da notare, infine, che tutti i test dei farmaci vengono effettuati dalle industrie produttrici, con rarissimi controlli da parte dello Stato. Quindi, il controllore (le industrie) controlla se stesso! Ed i risultati sono coperti dal  segreto industriale! Per tale motivo sono sempre state rifiutate dalle lobby industriali le banche dati sui risultati dei test, che faciliterebbero verifiche troppo “scomode (notare che tale emendamento, proposto di recente per il recepimento della direttiva 2010/63, è stato bocciato alla Camera!).
            In merito ai famosi “metodi alternativi (in genere non “sostitutivi”), è importante sapere che sono chiamati in tal modo anche quelli che riducono semplicemente (e non si dice di quante unità..) il numero degli “animali” utilizzati, e/o le loro sofferenze. Inclusi i metodi “in vitro”, che necessitano pur sempre dell’uccisione preventiva di “animali” per disporre dei loro organi o cellule. A meno che siano utilizzate colture di cellule animali o umane. Cosmetici inclusi, per i quali non è affatto vero che ne siano stati vietati i test sugli animali, specie per gli effetti più seri di cui sopra (cancerogenicità, tossicità riproduttiva e genetica, e tossico cinetica)[5]. Semplicemente, se sottoposte a tali test, le sostanze utilizzate per la cosmesi (ove dichiarate a tal fine!) non potranno essere commercializzate nella UE. Ma fuori, si! Inutile  quindi, anche in base alla relazione della Commissione UE del settembre 2011 sui cosmetici, sperare troppo in tali metodi per abolire la vivisezione, nonostante la propaganda sul principio delle 3R (ridurre, raffinare, sostituire) inventato nel lontano 1959 e che fino ad ora non ha prodotto che scarsissimi risultati.
Certamente, i test sugli “animali” servono! Servono a vedere “che effetto fa” una sostanza, a produrre tesi di  laurea  o pubblicazioni scientifiche per concorsi. E servono – per i farmaci - a poter poi più liberamente sperimentare sugli umani o, per i prodotti chimici, a venderli liberamente senza il rischio di richieste di danni, perché i test così effettuati sono considerati “necessari e sufficienti”.
Ma non servono certo a sostituire i test sui “consumatori finali”. Lo affermano anche prestigiose riviste scientifiche internazionali, quali il British Medical Journal (2004), Nature (2005), Sapere (2006) e persino il National Research Council degli U.S.A. (2007), ed esperti come il Prof. Thomas Hartung, già direttore dell’ECVAM[6].     
            La sperimentazione sugli animali di farmaci e sostanze chimiche ‘copre’ pertanto un gravissimo problema scientifico ed etico! Non solo il test sugli “animali” non è risolutivo (anzi, di norma è fuorviante), e causa enormi sofferenze, perdita di vite, tempo e denaro, ma autorizza a sperimentare poi sulle persone  anche prodotti inutili o superflui (magari inventati al solo scopo di ottenere nuovi brevetti farmaceutici per altri decenni, come sopra accennato), o a non testare affatto sugli umani, come per le sostanze che assumiamo nei cibi, nelle bevande, nell’aria che respiriamo, o le onde elettromagnetiche dei cellulari, ecc.. Con i risultati che ognuno di noi può immaginare. 
            Tuttavia, la vivisezione in Europa, e quindi anche in Italia, è obbligatoria per tutte le sostanze e i prodotti che possono interferire con la salute dell’uomo. L’art. 117 della nostra Costituzione, nel definire la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni, riconosce in primis i vincoli derivanti dalle normative europee. A livello nazionale - in tema di legislazione concorrente con le Regioni – ed in particolare per quanto riguarda la ricerca scientifica e tecnologica, spetta inoltre allo Stato la determinazione dei “principi fondamentali”. Nel caso della vivisezione, pertanto, le direttive ed i regolamenti suddetti sono inderogabili per l’Italia, salvo eccezioni ammesse dalle stesse normative, ed anche le Regioni devono sottostarvi. Inutile quindi chiedere l’abolizione “tout court” della vivisezione. Al massimo si sarebbero potute mantenere le norme (tutte) previste dalla nostra legislazione (dlgs 116/92, legge 281/91, e legge 413/93) dato che la nuova direttiva 2010/63 all’art. 2 (Misure più restrittive) lo consente. Anche se in ritardo (bisognava dirlo entro il 2012), lo avremmo potuto certo pretendere. Queste avrebbe permesso al nostro Paese di mantenere un notevole grado di autonomia legislativa in materia. Tali misure “più restrittive” sono rappresentate nel dlgs 116/92 dagli artt. 3.2; 4.3; 4.4; 8; 9; 17; e 18. Bastava incorporarle nella nuova norma di recepimento della direttiva 2010/63, ed applicarle non rinnovando le autorizzazioni di solito concesse (es. esperimenti su cani, gatti e primati, didattica, assenza di anestesia, ecc.). Senza far passare in Parlamento emendamenti fuorvianti e peggiorativi (v. l’autorizzazione a sperimentare su cani, gatti  e primati “per la salute dell’uomo”, e la “formazione di medici e veterinari” prevista  nella didattica). Il nulla osta del Ministero della Salute e dell’I.S.S. o altri istituti, richiesti per tali autorizzazioni negli emendamenti suddetti e nella bozza di decreto legislativo del Governo a fine 2013, non potrebbero infatti essere mai negati ove gli scopi fossero quelli sopra dichiarati. Un’osservazione particolare merita peraltro la legge 413/93 sull’obiezione di coscienza, che andrebbe inclusa nelle nuova legge nazionale sulla vivisezione, ovvero richiamata nella stessa, e che rischia di costituire un possibile elemento di discriminazione nel mercato del lavoro, specie se invocata successivamente all’assunzione o all’iscrizione a corsi didattici di qualsiasi livello. Per cui tali aspetti andrebbero meglio tutelati.

            Occorre quindi rendere decisamente ‘etica’ la produzione di tutto ciò che possa nuocere e che debba essere sottoposto a test di tossicità e/o efficacia nel campo dei farmaci e delle sostanze chimiche, o in altri campi correlati, al di là dei ‘quantitativi’ di produzione. Questo obiettivo potrà esser raggiunto solo gradualmente, stante le normative UE in vigore. Nell’immediato è tuttavia possibile dare il via a tale processo varando alcune fondamentali norme, che qui suggeriamo, non in contrasto con quanto ammesso dalla direttiva 2010/63, e quindi non suscettibili di ricorso alla Corte di Giustizia della UE:
-        Effettuazione dei test clinici per tutti i farmaci destinati agli umani su ‘volontari’  effettivamente ‘informati’ in tutte le fasi (oltre la prima, per la quale la richiesta del consenso informato è  rispettata, dato i rischi che si corrono) previste oggi per tale  sperimentazione, sotto il controllo dei Comitati etici. (A tal fine sarebbe sufficiente inserire l’indicazione della “fase” - con gli estremi dell’autorizzazione ministeriale e la relativa data di inizio e termine, in chiaro - sulle confezioni dei prodotti, in modo che i cittadini siano palesemente informati del fatto che il prodotto è distribuito in via sperimentale, e dei rischi che quindi corrono nell’assumerlo, e possano scegliere liberamente). A tale provvedimento occorrerebbe poi aggiungere la possibilità di una effettiva ‘farmacovigilanza’ tramite la raccolta obbligatoria degli effetti collaterali e dell’efficacia del farmaco, come peraltro previsto recentemente dalla UE ma non ancora messo in pratica. Inoltre, occorrerebbe, come avviene per i donatori di sangue, concedere ai volontari un riconoscimento ‘morale’ particolare ( quindi non in denaro, così come previsto oggi dalla relativa normativa).
Assurdo, come si è sentito proporre recentemente, stampare sulla scatola ‘prodotto testato sugli animali’ per magnificare il contributo (per nulla garantista) a loro imposto! In realtà, è sugli umani (nelle fasi suddette) che oggi è e sarà effettuato il vero test. Il sistema  andrebbe esteso anche alle sostanze chimiche, per le quali sulla confezione del prodotto andrebbe (allora sì) riportata (in attesa che vengano resi obbligatori i test clinici!)  la dicitura ‘Prodotto testato (solo) su animali’. Per inviare al consumatore un chiaro messaggio: ‘attenzione: il prodotto non è stato testato clinicamente!’. (Le normative europee non lo vietano!). Tale approccio eliminerebbe col tempo i test pre-clinici sugli ‘animali’, in quanto saranno le industrie stesse a richiederlo, non ritenendo opportuno sostenere costi inutili (gli USA stanno infatti procedendo speditamente nella loro campagna anti-REACH proprio per tali motivi). In tal modo si ridurrà altresì la produzione di farmaci ‘successori’ dei generici, e di farmaci, sostanze o prodotti inutili, per scelta dei consumatori, dando modo alle industrie di riconvertirsi adattandosi gradualmente a nuovi metodi sostitutivi.    
-        Divieto assoluto dei test pre-clinici per i cosmetici. L’Italia può vietare da subito tali test, anche se  dopo l’11 marzo 2013 sono limitati a quelli relativi alla cancerogenicità, tossicità riproduttiva e genetica e tossicocinetica[7], in quanto la direttiva 2010/63 non si applica a tale categoria di sostanze (v. art. 1 della direttiva 210/63) e la nostra legislazione lo consente (dlgs 116/92, art. 18 comma 3).
-        Obbligatorietà dei metodi alternativi e sostitutivi già validati dall’EURL ECVAM e OCSE. Nella direttiva 2010/63 (art. 13) non è espresso chiaramente tale obbligo (bensì solo una raccomandazione), ma nemmeno il divieto di renderli obbligatori. Nello stesso articolo è inoltre permesso agli Stati membri di rinunciare ad ‘alcuni metodi’ (non ben specificati!) sulla base della legislazione nazionale. Basterebbe quindi inserire che l’Italia vieta tale possibilità ove tali metodi siano ‘più restrittivi’ di quelli previsti dalla legislazione UE e internazionale.
-        Potenziamento della ricerca di metodi sostitutivi[8]  tagliando parallelamente i finanziamenti a quelli che utilizzano ‘animali’. Senza tale provvedimento, non sarà mai possibile superare la sperimentazione animale.
-        Nell’immediato, peraltro, con riferimento alla procedura di controllo prevista dall’art. 76 della Costituzione (parere delle Commissioni Permanenti interessate) sulla bozza di decreto legislativo emesso dal Governo in applicazione dell’art. 13 della legge delega 96/2013, riguardante il recepimento della direttiva 2010/63, si auspica la massima fermezza delle suddette Commissioni nel controllo dei principi e dei criteri direttivi emessi al riguardo dalle Camere, senza con ciò entrare nel merito degli stessi in quanto già oggetto di precedente esame e votazione democraticamente espressa.

            E’ chiaro, a questo punto, il motivo per il quale si  protesta contro la vivisezione e anche contro la direttiva 2010/63, la quale, paradossalmente, anziché  stabilire rigide misure protezionistiche (pur sempre nell’ambito di una  pratica immorale) detta addirittura i fini ‘ammessi’ per la vivisezione, rendendoli un ‘diritto’ per i ricercatori! In tal modo, oltre a violare numerosi principi stabiliti dal Trattato sul Funzionamento della UE in merito alla ricerca scientifica e la salute dei cittadini (non certo tutelate dai test pre-clinici) viola anche la libertà di decidere democraticamente a livello nazionale in merito ad argomenti di carattere etico, tema non di esclusiva competenza dell’Unione Europea. Non solo, ma all’articolo 2 impedisce, come sopra accennato, di adottare a livello nazionale “misure più restrittive” a favore degli “animali” se non già in vigore al 9 novembre 2010, contraddicendo quanto a tale proposito stabilito dalla  precedente direttiva 86/609 e la propria finalità di norma “protezionistica”.

Pertanto andrebbe impugnata davanti alla Corte di Giustizia UE del Lussemburgo da parte del Governo, unica Istituzione abilitata dalla UE a tale procedimento.

Un documento analitico a tale proposito è pubblicato sul sito www.antispec.org > Iniziative legislative > Critica della direttiva 2010/63. Le proteste in corso da anni contro gli stabilimenti allevatori, fornitori ed utilizzatori facenti parte della “filiera” vivisezionista (Green Hill, Harlan, ecc.) sono oggi peraltro un chiaro sintomo dell’esasperazione di gran parte della popolazione ormai conscia del fatto che la sperimentazione sugli animali non umani e umani (e a loro insaputa) andrà avanti per sempre se non si interviene affinché il guadagno non sia anteposto ad una ricerca veramente scientifica ed etica. Quella stessa etica suggerita non da emotività o buonismo ‘animalista’ bensì dalle conoscenze di campi della scienza stessa quali  l’etologia e la zoo-biologia. Queste ultime hanno rivelato come gli animali non umani siano esseri coscienti e sensibili (ossia senzienti), e di conseguenza non possano più essere trattati come ‘oggetti’ anche dalle altre branche della scienza, quale la ricerca biomedica, a scapito di essere tacciata di ‘oscurantismo’. Di questo la politica deve farsi carico, e porre tutti gli ostacoli possibili allo sfruttamento di umani e non umani, accelerando di conseguenza tale processo di conversione.

Massimo Terrile[9]

8 gennaio 2014.


[1] Es. l’uso dei maiali per le esercitazioni di laparoscopia, largamente in uso.
[2] V. Allegato n. 4.4.
[3] Cfr.: Philippe Pignarre: Le gran secret de l’industrie pharmaceutique; Paris, La Découverte, 2004.
[4] Come invece occorrerebbe scrivere sulla confezione per dar modo ai cittadini di esserne informati.
[5] V. Direttiva 2003/15 e Regolamento 1223/2009 in : ‘Cosmetici: luci ed ombre’, Allegato n. 4.5.
[7] V. Allegato n. 4.5.
[8] Cfr.: Stefano Cagno in ‘Scienza e Farmaci’, 24/12/013: Le contro risposte degli abolizionisti a Garattini ..
[9] V. Biografie autori.

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